“Aiutati che Dio t’aiuta” recita un vecchio proverbio. Ovvero, trova da te il modo per aiutarti e forse la o le Divinità, il Destino, il Caso, ciò in cui in qualche modo crediamo, una mano te la darà più volentieri. Il messaggio del proverbio è comunque chiaro: “Trova da te la chiave della soluzione dei problemi che hai e le cose andranno certamente un po’ meglio.” Proprio per “aiutare ad aiutarsi” sta prendendo sempre più piede un vero e proprio genere di libri, che tende a occupare in modo fisso, con “classici” del genere e novità, parti degli scaffali e delle vetrine delle librerie: il self-help.
A che gioco giochiamo?
Ho appena scritto la parola “classici” e rifletto sul fatto che la memoria ormai cancella rapidamente quasi tutto (classici compresi) e, in un mondo in cui siamo sommersi di informazioni, non c’è più una trasmissione certa da una generazione all’altra, attraverso la scuola o la famiglia, anche di nozioni, informazioni, conoscenza di testi che un tempo si consideravano indispensabili ed erano conosciuti da tutti, almeno a un grado medio di cultura. Se non li avevi letti, almeno dovevi sapere che esistevano e in linea di massima di che cosa parlavano. Dunque, quando scrivo “classici” e penso a uno dei libri che negli anni ’60 e ’70 non si poteva ignorare, parlo ad esempio di quel prezioso volumetto dal titolo A che gioco giochiamo di Eric Berne, uno dei primi di self-help, pubblicato ben prima dell’uso comune di quest’espressione, nel 1964 in edizione originale, tradotta in italiano nel ‘67. Medico e psicanalista nordamericano, Berne descrisse, in modo piano, semplice, intrigante e comprensibile a tutti, la serie di meccanismi (quelli che chiama “giochi”, appunto) in cui davvero tutti finiamo per intrappolarci ed essere intrappolati ogni giorno nelle nostre relazioni, quelle familiari, professionali, amicali. Tutti, sosteneva Berne, tendiamo a ripetere uno stesso schema e ad essere percepiti dagli altri sempre nello stesso ruolo: il marito che tormenta la moglie, l’amico che ci perseguita, il superiore che si rivale sul dipendente, e così via. Tutti, diceva ancora, abbiamo dentro di noi, e la mettiamo in scena nelle diverse situazioni e nelle varie combinazioni, la figura del Genitore, dell’Adulto e del Bambino. Se queste cose le avete già sentite, è semplicemente perché in sessant’anni le idee di Berne sono diventate “senso comune” e ormai ne scrivono, leggono, parlano in molti. Tra le invenzioni geniali di questo libro ci sono i nomi dati ai giochi di relazione, tutte espressioni scaturite, spesso dai pazienti stessi, nell’ambito delle psicoterapie cosiddette transazionali.
E allora, leggendo questo libricino essenziale e sintetico, ciascuno può scoprire se fa parte (e quale ruolo gioca) del gioco “prendetemi a calci”, o “Tutta colpa tua”, di “Non è così tesoro?”, “Sto solo cercando di aiutarti” o “Ti ho beccato, figlio di puttana”, e così via. Ecco, un “classico” così, o un long-seller (un libro di quelli che continuano a vendersi dopo tanti anni dalla pubblicazione) non si può ignorare. E’ piacevole a leggersi, divertente, utile ad aiutare se stessi, e gli altri, perché se capiamo a quale gioco giochiamo, possiamo cambiare gioco o ruolo. Poiché la Bur Bompiani l’ha ancora in catalogo a nove euro, sono poco più di duecento pagine e rileggendolo ne ho riscoperto il valore e la freschezza, ho pensato bene di partire da qui, prima di arrivare alla novità di self-help di cui occuparmi.
I sensibili hanno una marcia in più
Il libro che voglio segnalare ha un titolo e un sottotitolo che obbligano molti di noi, se lo incrociano in libreria, a prenderlo, leggere la quarta di copertina e sfogliarlo. Titolo: Le persone sensibili hanno una marcia in più. Sottotitolo: Trasformare l’ipersensibilità da svantaggio a vantaggio. La copertina, con una farfalla dalle ali gialle e nere appoggiata con tre zampe sulla mano di una donna, aiuta ulteriormente a farsi notare. L’autore del libro edito da Feltrinelli nella collana Universale economica, è un consulente psicoterapeuta tedesco, Rolf Sellin, che ha fondato a Stoccarda l’HSP (Highly Sensitive Persons) Institut.
Sellin ci racconta che un giorno, come capita a molti, incontrò un libro, “L’ipersensibile. Come uscire vincitori da un mondo che ti schiaccia”, di Eliane N. Aron che dice di avergli cambiato la vita. Perché da lì scoprì che tra il 15 e il 20 per cento delle persone, in ogni popolo e cultura, possono essere a buona ragione classificati, fin da piccoli, come “ipersensibili”, ma né la psicologia né la psicoterapia li ha considerati degni di nota. Si tende ad affrontare le conseguenze (tendenza alla timidezza, alla paura, alla depressione), ma non il loro modo di percepire la realtà.
Ipersensibilità: un vantaggio?
L’ipersensibilità, che potenzialmente può consentire di trarre più gioia, più piacere e ricchezza interiore, diventa invece spesso causa di sofferenza.
Il nostro autore si è riconosciuto nelle descrizioni e si è posto l’obiettivo di trovare per sé e indicare per gli altri alcune vie d’uscita. Così, dopo aver operato con il suo Istituto di Stoccarda, ha elaborato il suo libro di self-help, a partire dalla definizione delle caratteristiche di questo quinto della popolazione mondiale: ci sono ipersensibili talmente empatici con gli altri da negarsi la cura di se stessi, ci sono i cercatori di emozioni forti, gli iperreattivi e coloro che vivono sbalzi tra momenti di entusiasmo e di depressione. E’ tipico degli ipersensibili avere poche amicizie ma intense, il difficile equilibrio tra il desiderio di fusione e la necessità di delimitarsi.
Dopo aver offerto test per verificare la possibilità di definirsi davvero “ipersensibili” Sellin offre consigli destinati soprattutto a dosare l’empatia, a gestire e a dirigere le proprie capacità percettive, ma soprattutto a conoscere e considerare i propri limiti, la propria limitatezza. Sembra proprio questa una delle chiavi utili a trasformare in vantaggi e in “marcia in più” l’ipersensibilità. “Percepire e rispettare i nostri limiti e confini ci impedisce di chiedere troppo a noi stessi e, al contempo, ci permette di sviluppare al meglio le nostre possibilità, di evolvere e di assicurarci lo spazio che ci spetta nella nostra esistenza”.
Poiché chi legge libri si considera spesso, a torto o a ragione, una “persona sensibile”, è possibile che l’attrazione di un titolo di questo tipo e della lettura di questo libro agisca su un numero di lettori non indifferente. Potrà cambiare la vita di qualcuno, come un altro libro cambiò quella del suo autore? Non lo so, posso solo dire che qualche utilità la si può ricavare, sempre, ovviamente, che si voglia aiutarsi da sé.
Eric Berne, A che gioco giochiamo, traduzione Vittorio Di Giuro, Bur Bompiani, pp. 218, euro 9
Rolf Sellin, Le persone sensibili hanno una marcia in più. Trasformare l’ipersensibilità da svantaggio a vantaggio. Feltrinelli, ppp. 160, euro 7