Il tempo a Mantova scorre in modo diverso, ovviamente durante il festival, come durante tutte le esperienze di vita dense e intense. Me ne rendo conto quando mi metto a scrivere la seconda pagina di diario, 36 ore dopo la prima. E tra l’una e l’altra ho visto, sentito, percepito tante di quelle cose che mi sembra già passata una settimana. E invece era solo ieri pomeriggio quando presentavo al pubblico del Cortile del Palazzo Ducale Andres Neumann (sala piena, duecento persone), in uno degli incontri più divertenti che mi sia capitato di condurre, con Andres che andava per un suo percorso in gran parte indipendente dalle mie domande (che peraltro non erano particolarmente stupide o sbagliate) e io costretto a inseguirlo e stare al suo gioco, come ben racconta la redazione dei volontari del Festival in questo post.
Il Teatro secondo Neumann
Tra le autodomande di Neumann, che mai gli avrei fatto e cui lui mai avrebbe rinunciato, c’è questa “Che cos’è il Teatro?”, la cui risposta merita di essere trasritta parola per parola (grazie, Andres, per avermela inviata):
Teatro è una persona che ha deciso che farà finta di essere un’altra persona.
Una persona quindi, che fa finta di essere un altra, avendo annunciato precedentemente e pubblicamente il gesto, dando appuntamento a chi abbia voglia di presenziare tale prodezza.
La persona annuncia quindi per esempio che domani sera in un Teatro di questa Città farà finta di essere Lear, King Lear, il Re Lear.
Alcune persone, molte o poche che siano, compreranno allora un biglietto pagando il prezzo dovuto, per avere il permesso di far finta di credere (o non credere) a colui che farà finta di essere questo altro, questo Re.
La situazione invece di chi va per ascoltare qualcuno parlare di Teatro è ancora peggio, perché in questo caso accade che un certo numero di persone pagano un biglietto per sentire una seconda persona parlare di una terza che aveva fatto finta di essere una quarta, che era a sua volta stata vista in quella occasione da molte o poche quinte persone.
Si può immaginare follia più grande?
Questo è un ottimo esempio della realtà convenzionale che noi, esseri tricerebrali che abitiamo questo pianeta, ci siamo dati.
Noi e le meraviglie del mondo secondo Schmitt
Ed era sempre ieri pomeriggio, quando ascoltavo Eric-Emmanuel Schmitt, scrittore prolifico quanto pochi, che presentava il suo Elisir d’amore, romanzo impostato sullo scambio epistolare di una coppia di amanti che vorrebbero diventare amici (“E’ solo la pelle che distingue l’amicizia dall’amore” dice lo scrittore belga) . Se ci riusciranno o no lo scoprirò solo dopo averlo letto. Quando un autore è intervistato da chi lo conosce bene, ne ha letto pressoché tutto e sa porre nel modo giusto le domande giuste (è il caso di Carlo Annese, giornalista e scrittore di qualità), nel giro di un’ora si conosce più da vicino lo scrittore, se lo si mette a suo agio lui a sua volta può proporre al pubblico cose che vanno al di là della sua stessa scrittura. Qualche “perla” da Schmitt: “Il mondo non manca mai di meravigliarci, quello che manca sono i meravigliati”, “A 30 anni ero maturo per scrivere di Dio e di spiritualità, ma solo a 50 sono pronto a scrivere di sesso e di amore” (dopo aver precisato che in letteratura non ci sono gerarchie tra soggetti nobili e non nobili). E ancora: “L’ottimismo è sempre un atto di volontà. Io non dirò mai come Tolstoj ‘Ogni giorno va vissuto come fosse l’ultimo’, ma – citando un mio personaggio, il piccolo Oscar malato terminale – ‘ogni giorno va vissuto come fosse la prima volta’.”
Lo sguardo attento di Teju Cole
Ma questo era ancora ieri. Oggi, venerdì, terza giornata del Festival, la mia attenzione è già stata catturata da tutt’altro, in particolare dalla capacità di osservazione, dallo sguardo attento e pronto a catturare ogni cosa di Teju Cole, che mi aveva colpito già ieri mattina. Fino a ieri per me era del tutto sconosciuto, mi erano sfuggite tutte le recensioni di Città aperta. Da oggi sta per entrare, dalle poche pagine che ho letto, oltre che dalle parole che ho ascoltato, tra gli autori da seguire. Una capacità di attenzione a ciò che lo circonda l’avevo vista, a questo livello, solo in tre personaggi tra i tanti che ho incontrato: John Berger, David Grossman, Thich Nhat Hanh, non a caso quelli che più di tutti non si mettono al centro della narrazione o della poesia, ma fanno della propria mente e dei propri occhi un punto di osservazione costante sull’Altro. Per lui, fotografo per il New Yorker, appassionato di ogni genere di musica, narratore attento a ogni piccolo dettaglio, la scrittura è come lo sguardo. “Mi piace camminare, leggere, disegnare, ovvero seguire le forme di ciò che ti circonda.” Cita una frase del poeta francese Paul Eluard che suona come “C’è un altro mondo dentro questo” e si sente impegnato a cercarlo e a descriverlo, invitando tutti noi a farlo. Mi riprometto di recensire quanto prima Città aperta. Intanto suggerisco di guardare quest’intervista a Teju Cole dei ragazzi del Festival.
Siamo immersi nelle storie, anche troppo (Gottschall)
Passano poche ore e sono ad ascoltare un altro dei tanti scrittori importanti che circolano per Mantova. Si chiama Jonathan Gottschal, me ne ha parlato a pranzo un collaboratore dell’organizzazione del Festival, Raffaele Cardone che lo presenta in pubblico. C’è davvero tanto da scoprire, e Mantova è davvero un luogo privilegiato. Gottschal ha scritto L’istinto di narrare, pubblicato da Bollati-Boringhieri (altra promessa di recensione a me stesso e ai miei quattro lettori). Il titolo in originale è ancora più bello: The story-teller Animal, e racchiude il senso di un lavoro che mette insieme discipline umanistiche e scientifiche per indagare come e perché l’uomo sia l’animale la cui evoluzione è segnata, oltre che dalla tecnologia, dall’istinto di raccontare storie e di esserne attratto. Nuova citazione da una citazione: Gottschal che cita Tolstoi: “L’arte è come un’infezione, più è di alto livello più riesce a infettare, influenzare, colpire chi ne usufruisce”. E al termine del suo percorso osserva che oggi forse siamo immersi in troppe storie, rischiamo la bulimia o il diabete. Conscio di questo pericolo anch’io mi fermo qui, con le storie di oggi, che già ne incrociano troppe.
Luciano Minerva
Nelle foto:
- incontro con Andres Neumann
- Tuje Cole, Alberto Notarbartolo e il traduttore Peter Mead
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