Oggi mi permetto, con molta umiltà, di proseguire in qualche modo il concetto letto nelle righe scritte da Cecilia Pacini sulla “grande musica di nicchia”. Io non so se un genere musicale è più grande di un altro, se il jazz è più bello del rock o del pop, se la classica è più o meno bella del reggae. Sono campi musicali diversi, ma e ugualmente musica, scritta e composta da persone diverse tra loro ed anche in tempi molto diversi.
Ogni stile ha certamente il suo pubblico affezionato, ma oggi la globalizzazione ha avvicinato i suoni e li strumenti tipici di popolazioni lontane tra loro, tutto si mescola e va ad impreziosire l’altro. Dove l’altro può essere un famoso violinista che calca i palcoscenici di tutto il mondo con in mano un antico Stradivari , ma può essere anche un artista di strada che suona nelle piazze, anche quelle di tutto il mondo, incantando i passanti più o meno generosi invece che il pubblico pagante, comodamente seduto su poltroncine di velluto. E allora tra i due violinisti chi è più “grande”? Certamente uno è più famoso dell’altro, ma la grandezza d’animo o la sensibilità a volte non si accompagnano con le prime pagine della stampa internazionale.
Un artista generoso lo si riconosce da lontano, lo si sente prima di tutto, non importa ciò che suona, ma “come suona”. Chi suona, come chi canta ma anche chi dipinge o fa scultura, chiaramente lo fa prima di tutto per sé stesso, ma poi il musicista suona per gli altri, e se tra il sé e gli altri non c’è feeling, non c’è atmosfera, allora tutto svanisce. Se tra il pubblico che ascolta e chi si fa ascoltare si perde il piacere reciproco di scambiarsi sensazioni, allora quel poco tempo trascorso insieme è stato inutile, finisce la magia. Se a chi si ferma ad osservare un dipinto non arrivassero le sensazioni che l’autore ha voluto fermare sulla tela, i musei perderebbero il loro senso di esistere.
Certo ci sono artisti che riempiono gli stadi ed altri che si accontentano dell’esedra della Madonna del Monte, ma è la quantità di pubblico presente che fa “grande” il musicista? E’ il costo del biglietto che misura la fama? Sono i gioielli indossati dalle signore presenti, oppure decine di ragazzine urlanti e piangenti che decretano l’importanza del concerto? Io, sempre umilmente, penso di no. In ogni parte del mondo, in ogni angolo della Terra c’è musica, con un proprio stile, con le proprie definite caratteristiche, e spesso accade ascoltando una musica mai sentita prima, di riconoscerne il paese di provenienza proprio perché ha uno stile e suoni ed un’impronta talmente chiara che immediatamente permettono a chi la ascolta di collocarla in una terra ben precisa. E allora comprendi l’autore mai ascoltato prima.
Ieri mattina il maestro Mario Brunello saliva con passo svelto lungo la Via Crucis della Madonna del Monte portandosi a spalla il suo “gemello” protetto in una custodia rosso Ferrari.
Eravamo tutti immersi nella nebbia, la fontanella dell’acqua accompagnava la musica come un sottofondo cercato, e questa atmosfera particolarissima ha circondato i moltissimi che hanno potuto godere di un concerto delicato e prezioso. Dopo Bach il violoncello di Brunello ci ha regalato la musica di un compositore turco – del quale mi scuso ma non ricordo il nome – del secolo scorso, e quando sono arrivate le note dolci e struggenti di una canzone armena che il maestro ha voluto dedicare a quella popolazione ancora oggi così martoriata, anche le nostre corde dell’anima si sono sciolte e gli applausi finali non terminavano più.
Come lo stesso Brunello ha detto “ La Musica va oltre”.