Anche questo festivaletteratura, il diciottesimo della sua storia, il quindicesimo della mia, è finito. La fortuna ha voluto che – come sempre – le poche gocce d’acqua, leggere e tranquille, che hanno sfiorato il festival siano cadute in un breve intervallo all’ora di cena, senza comportare intralci. In tanti anni l’unico fortunale che ricordi al festival risale al 2006. E l’unico luogo in cui dovettero intervenire i vigili del fuoco con le idrovore, su 15 siti, fu quello in cui una story-teller sudafricana, Thoko Nkoma, per far partecipare meglio il pubblico a una sua storia di terre lontane, li aveva invitati a cantare con lei la danza della pioggia. Quando la incontrai il giorno dopo (ovviamente splendeva il sole) mi disse, in quest’intervista con video della mini-alluvione, che non avrebbe mai più fatto qualcosa del genere. Ho sempre considerato questo episodio e questa coincidenza (Jung l’avrebbe chiamata “sincronicità”) una metafora della potenza del narrare storie.
Le dolenti (e ridenti) note della Banda Osiris
Sarebbe bello inseguire una a una le storie che vengono raccontate in questo (come negli altri) festival. Ma è impossibile, a chiunque, perché la contemporaneità degli eventi e la loro dislocazione in punti diversi della città lo impedisce, fin dalla prima edizione. Così, chiusa questa full-immersion, resta il ricordo, la sensazione di tante storie che si intrecciano, che resteranno solo in parte nella memoria, come tanti semi da cui nasceranno poche piante, ma belle e varie. Ecco, i semi che il festivaletteratura pianta in ognuno sono in questi quattro giorni e mezzo di settembre, un numero inverosimile. E si possono innaffiare, inseguire e coltivare in modo diverso, anche cambiando registro e modo di seguire la festa da un giorno all’altro.
Personalmente, se sabato mi ero lasciato interamente invadere da una sola storia, quella raccontata da Baliani e C. su E Johnny prese il fucile, vivendola, portandola con me, scrivendone per fermarla e insieme liberarmene poco a poco attraverso la scrittura, dalla stessa fine di serata (spettacolo con inizio alle dieci e mezza, al Festival si dorme poco) ho sperimentato altro: inseguire tutto ciò che potevo, a partire da quella spettacolare Banda Osiris che ha entusiasmato piazza Castello con le sue gag liberamente tratte dal libro Le dolenti note (libro da leggere e spettacolo da vedere), rafforzate in un dialogo surreale dalla sapienza e dall’ironia del filosofo della scienza Telmo Pievani. La sola conoscenza televisiva della Banda non basta a metterne in evidenza il valore dello spettacolo dal vivo (del resto la tv appiattisce e scolora tutto, specie oggi). E così l’obiettivo dichiarato della Banda di tenere i ragazzi e i giovani lontani dalla musica è occasione per una satira feroce su un paese dove vige una vera e propria diseducazione musicale (a partire dai saggi di flauto dolce a cui tutti noi genitori siamo stati sottoposti, descritti e mimati in modo esilarante). Che uno dei quattro, Gianluigi Carlone, sia anche l'autore delle musiche dello spettacolo di Ferrentino/Baliani testimonia quale sia la coscienza musicale e lo spettro di interessi degli Osiris.
La Banda è per me solo l’antipasto serale di una domenica frenetica, con molti chilometri in bicicletta a buona velocità per saltabeccare da un evento all’altro, per quale motivo e sotto la guida di quale demonietto o daimon ancora non so: la voglia di non perdere nulla? la voglia di assaggiare cibi diversi come davanti a un ricco buffet? l’inseguimento di qualche assurdo record di abbuffata culturale? Non lo so, ma il record non l’ho certo io: ovunque andassi incontravo il presidente del Festival Luca Nicolini e il prezioso collaboratore degli organizzatori Raffaele Cardone, che probabilmente stavano contemporaneamente con loro sosia anche da altre parti. Quello che mi piace condividere coi miei quattro lettori (corresponsabili per la loro stessa esistenza di qualche mia follia) è la serie di spunti, testi, storie, chiavi di lettura che mi hanno colpito in un solo giorno (o meglio quelli che ho salvato tra note, appunti e memoria, che sono una piccola frazione di quelli reali).
I giovani: Narcisi, poco innamorati e depressi?
Scopro dal programma della giornata che Gustavo Pietropolli Charmet ha scritto un libro sulle vite sentimentali degli adolescenti e il tramonto del romanticismo: Narciso innamorato. Ne parlerà con Lella Costa, ma l’incontro (dal titolo Innamorarsi poco) è rinviato di un’ora e mezzo e non posso sapere cosa ne è venuto fuori perché devo inseguire altro. Metto però in relazione il tema con una relazione dell’OMS che considero allarmante per le nuove generazioni e per il mondo sgangherato che noi anziani o giù di lì stiamo lasciando in eredità: la maggior causa di malattie nel mondo dai 10 ai 19 anni è la depressione.
Marino Sinibaldi: Le recinzioni della Terra e del cielo
Rinviando alla lettura del libro le informazioni e le riflessioni sul tema, pedalo furiosamente dal Palazzo di san Sebastiano a piazza Sordello, dove il direttore di Radiotre Marino Sinibaldi viene interrogato sotto una tenda affollatissima dall’editore Alessandro Laterza, da Massimo Cirri conduttore di Caterpillar e dalla curatrice di Fahrenheit Susanna Tartaro. L’occasione è il libro a cura di Giorgio Zanchini Un millimetro in là. Intervista sulla cultura. Il titolo si riferisce a quel millimetro di cui si è spostato in tanti anni il baricentro del Paese, “sempre renitente verso l’idea di un ‘bene comune’ in nome del nostro ‘particulare’”. Uno dei temi del libro, e del dibattito, è se siano scomparsi i “mediatori” della cultura, quei filtri tradizionali (editori, giornalisti, pagine della cultura, conduttori radio e tv) tra la produzione e la fruizione della cultura, con i loro pregi e difetti. Laterza avverte che oggi i veri grandi mediatori sono Google, Amazon, Apple e così via, le cui indicizzazioni per accedere in pochi decimi di secondo all’enciclopedia del sapere non sono affatto neutre, tutt’altro. “Nessuno – dice – ha mai avuto nella storia del mondo il potere mondiale che ha Google". Sinibaldi ricorda che Internet è diventato un po’ alla volta un campo chiuso, recintato, proprio come le enclosures inglesi citate da Marx che determinarono l’inizio delle proprietà private. Cita un poeta sardo: “se il cielo fosse in terra l’avrebbero già recintato” e ricorda che Tim Berners-Lee, l’inventore del web, che credeva nella libertà, non ha brevettato la sua invenzione, che oggi sta permettendo a pochi di controllare tutto e incamerare fior di miliardi sulle spalle di molti. Tutti i 50’ dell’evento sono archiviati in video su youtube, grazie ai prodigiosi ragazzi dalle magliette blu, sul sito del Festival.
Claudio Magris: La bellezza e la realtà dell’incontro
Calamitato con altri 300 da questo dibattito su temi di attualità scottanti, arrivo tardi a piazza Castello. Sulla stessa pedana che poche ore prima vedeva la Banda Osiris c’è ora Claudio Magris che parla dei cinque tavoli (metaforici?) su cui lo scrittore sistema i suoi vari materiali, quelli di attualità, quelli di studio, quelli dei libri in corso, quelli per i libri prossimi (con carte che passano da un tavolo all’altro), quelli della corrispondenza che si riversa, nel suo caso, nella misura di un’ottantina di lettere ogni giorno e di decine di manoscritti a settimana. Da gran signore qual è Magris cerca di rispondere a tutti, anche solo per dire “non posso” (una lezione per chi non usa rispondere ad alcuna e-mail). Accenna all’ipertrofia dell’ego che caratterizza i nostri giorni (“che cosa mi importa sapere dove sei stato o su che spiaggia stai per andare o quanto era bello il dolce che hai servito?”) e racconta episodi delle sue corrispondenze con scrittori di tutto il mondo, in occasione della pubblicazione delle sue lettere a e da Biagio Marin. Parla dell’importanza dell’incontro, di ogni incontro interessante: “Nel momento reale esiste solo la realtà dell’incontro. Nel momento in cui ti incontri con l’altro siete alla pari. Non importa se l’altro abbia scritto la Divina Commedia e tu no. Esiste solo il rapporto tra due persone.” Parole sante, che metto da parte e trascrivo per chi ne fosse interessato.
Angela e Tiziano Terzani: Il mondo ha bisogno di ribelli spirituali
Tralascio per oggi il tema del Festival come luogo di incontri e passo alla domenica pomeriggio, vero clou del festival, nonché delle mie prestazioni sportivo-giornalistiche. Alle 15, sempre in piazza Castello, Angela Staude Terzani presenta i diari di Tiziano, con il curatore Alen Loreti. In un bel duetto spontaneo i due spiegano perché e come hanno portato alla luce le 3.500 pagine da cui hanno origine le 500 del libro Un’idea di destino (rimando alla mia recensione su Doppiozero). “Andava fatto conoscere anche l’uomo che soffriva per la direzione in cui va il mondo, quello che vedeva le cose in anticipo, la parte di intellettuale solitario che era sconosciuta. Non voleva essere maestro per nessuno e i Diari, con tutti i suoi dubbi, lo testimoniano.” Loreti osserva come il pubblico dei libri di Terzani stia ringiovanendo negli anni, cosa che fa ben sperare. Angela afferma che i Festival come questo sono l’unica vera forza di opposizione di oggi al qualunquismo dilagante e chiude con una delle frasi finali dei Diari e dei concetti-chiave di Tiziano: “Il mondo ha bisogno di ribelli, ribelli spirituali, capaci di ribellarsi alla corruzione, alla falsità, alla codardia, all’immoralità, a tutto quello che dal punto di vista dello spirito non va”. I mille di piazza Castello (sì perché la piazza centrale del Festival, in Palazzo Ducale, contiene mille spettatori e c’è spesso chi rimane fuori) la saluta con una standing ovation che in 15 anni di Festival ho visto in pochissime occasioni. Nella mia memoria c’è solo quella a David Grossman che nel 2007 raccontò qui pubblicamente, per la prima volta, come avesse affrontato, anche grazie alla scrittura, il lutto per il figlio Uri morto in guerra. Mi chiedo se l’alzarsi in piedi in segno di omaggio non sia una specialissima forma di applauso, quella che più si adatta insieme alla riconoscenza per chi c’è, per chi non c’è e per chi vuole tramandare la conoscenza, al di là della vita e della morte delle singole persone, anche le più care. E lascio qualche riga bianca per rifletterci.
Suad Amiry: da dislessica a scrittrice, grazie a Sharon.
Evito l’elenco dei 14 eventi in programma in luoghi diversi tra le 16,45 e le 18 dell'ultimo giorno del Festival, domenica 7 settembre. Nella mia giornata unica, frenetica e fantastica ho fatto una dolorosa selezione e sono corso da un teatro all’altro mettendo a dura prova il ciclista provetto e il multitasking che non sono, per perdere il meno possibile e per scegliere fior da fiore, inanellando brani da quattro eventi. Provo a sintetizzare.
Prima tappa ore 16,45, al teatro Ariston c’è la palestinese Suad Amiry, che aveva fatto l’architetto perché era dislessica e …”si sa, gli architetti guardano le figure e leggono poco”. Poi è diventata anche scrittrice solo grazie a Sharon, primo ministro di Israele. L’occupazione israeliana di Ramallah ha portato sua suocera a trasferirsi a casa sua e lei non ha potuto che scrivere un (delizioso) diario (Sharon e mia suocera), per raccontare la sua vita quotidiana sottoposta a due occupazioni, quella di Ramallah ad opera di Sharon e quella di casa sua ad opera di sua suocera. (L’avevo intervistata a Mantova anni fa, potete conoscerla in questa pagina di Incontri con relativo video). Ora con Golda ha dormito qui (Feltrinelli) torna sul tema della vita quotidiana nelle zone occupate.
“Le attività di architetto e di scrittrice – dice Suad Amiry - hanno delle affinità, perché in entrambi i casi leggo il territorio e la vita quotidiana come una sovrapposizione di vari strati: quelli di epoca greca, romana, ebraica, ottomana, musulmana, nel territorio e nella sua architettura e urbanistica. Ma la stessa cosa vale per raccontare le vite. Tutti noi siamo più strati e chi, come i politici, ne vedono uno solo (“i palestinesi” o “gli arabi” o “gli islamici”) non capiscono nulla, sono ciechi.”
Mario Brunello esegue in silenzio
Seconda tappa, ore 17,05: teatro del Conservatorio, dove il violoncellista Mario Brunello tiene, a partire dal suo libro de Il mulino una lezione sul silenzio (“fino a Bach le pause non avevano significato. Invece le pause, per la musica, sono come i vuoti negli spazi del tempio greco”). E dopo un excursus sulla storia delle pause nei secoli, ecco una dimostrazione dal vivo, cui ho la fortuna di assistere: l’esecuzione di 4’33”, un brano del tutto silenzioso, in tre tempi, con cui John Cage scandalizzò il pubblico nel 1952. “E non c’è posto migliore di un Festival della Letteratura, il luogo dove si può spingere avanti la situazione culturale, per eseguirlo.” La partitura del brano esiste davvero, è stampata da Peters, ma ovviamente non ha note, contiene semplicemente, tra tanto bianco, un tacet per il primo tempo, un tacet per il secondo, un tacet per il terzo.
Brunello comincia a cronometrare il silenzio, cambia pagina bianca a ogni intervallo e si alza alla fine a ricevere gli applausi del pubblico, che intanto si è reso conto che il silenzio assoluto non esiste, perché in quel caso cogli qualunque piccolo suono, come quello di qualche auto che passa fuori del teatro. Bella esperienza. A cui segue, tra le cose che posso catturare in questo “mordi e fuggi”, la distinzione tra il silenzio verticale della montagna e il silenzio orizzontale del deserto: l’obiettivo del primo è il raggiungimento della solitudine, in vetta, dove si spera di essere soli, il secondo mira all’incontro con l’altro, che prima o poi si incontrerà. Grazie, Brunello, leggerò senz’altro e quasi certamente consiglierò.
André Aciman: “La lingua è sempre una patacca”
Terza tappa, aula magna dell’Università, ore 17,20. Parla André Aciman, scrittore egiziano di religione ebrea la cui biografia (e la conseguente scrittura) testimonia una vita sempre in movimento, da un Paese all’altro, da un continente all’altro. Arrivo in tempo per ascoltare qualche domanda. Dove si sente straniero? “Ovunque. Certo a New York ho casa, famiglia, un lavoro che mi permette di vivere e di viaggiare. Ma l’America non è casa mia come non lo è stata l’Italia, la Francia, lo stesso Egitto, quand’ero bambino. Certo, quando ti senti straniero ovunque, diventi strano. E io sono certamente strano.” Il libro che dice di preferire tra i suoi è Notti bianche, “perché è il più difficile, ci ho messo tre anni a scriverlo”. E in che lingua pensa? un attimo di silenzio (nulla in confronto a Brunello) e poi un chiaro “Non so. Non credo di pensare in inglese, ma forse neanche in francese – dice in perfetto italiano. – Quando mi arriva il pensiero in una lingua, probabilmente è già a un secondo stadio, della lingua non ti puoi mai fidare perché travisa, cambia sempre un po’ il pensiero. Sarà perché mia madre era sordomuta e sono cresciuto con un pensiero cui il linguaggio non approda. La lingua in fondo è sempre …una patacca.” In pochi minuti e nel raggio di un chilometro sono passato da una musica fatta di silenzio alla testimonianza di uno scrittore figlio di una sordomuta, che scrive ma dice di non fidarsi. Figuriamoci quanto potrò ridare io questa serie di pensieri falsi al quadrato: così penso, certamente in italiano, mentre inforco la bicicletta per un altro spazio teatrale. Ma mi sento di dare un’avvertenza ai lettori: metteteci del vostro e prendete con le pinze ciò che racconto. Io provo a essere oggettivo, ma non basta davvero a ridare l’esperienza e il sapore di ciò che ho vissuto e tanto meno quello che ho ascoltato (acquisito?) dagli altri.
Mario Dondero: Lo sguardo degli altri ti fa capire chi sei
Quarta tappa, teatro Bibiena, ore 17,40. Il fotografo Mario Dondero, 86 anni suonati, monumento vivente di quest’arte, è a confronto con altri due giornalisti over 60 che hanno passato più tempo in giro per il mondo che a casa loro, Emanuele Giordana e Valerio Pellizzari. Per fortuna la letteratura e i festival non rottamano (ancora) e non mettono da parte nessuno, di quelli che possono trasmettere qualcosa delle loro competenze ed esperienze. Pellizzari lo descrive come “un gatto selvatico che vive di fotografia”. Racconta che quando Dondero parte (per una vita all’estero, ora sta raccontando l’Italia) non va mai “a….” ma “da….”, ovvero non va mai in un luogo ma a casa di qualche amico che abita vicino a quel luogo. “Non ci avevo mai pensato – replica Dondero. – Vedi, uno pensa di conoscersi a fondo, ma è lo sguardo degli altri a farti capire meglio chi sei.” Potrei già uscire soddisfatto di quest’altra frase-chiave, ma aspetto qualche altro minuto e sento l’elogio del mestiere di free-lance. “Perdi qualcosa in termini di tranquillità finanziaria, ma non ti appiattisci su un solo modo di fotografare secondo quella specifica linea editoriale, e ti puoi inventare i reportage prima che i giornali stessi te li ordinino.” La linea di Tiziano Terzani, insomma, quella che ha seguito per sé e che indicava ai giovani: “Non restate incasellati nelle gabbie che vi offre ‘il mercato’ e l’organizzazione del lavoro. Inventatevi qualcosa che vi piace e fatelo”. Il cerchio si chiude, insomma, come quello del Tao tanto amato da Terzani, in questa giornata strana, intensa, densa di inviti e di esempi di ribellione spirituale, senza distinzioni di età né di cultura.
Grazie, lettore, del tempo, della compagnia e dell’ascolto
Rinuncio alla quinta tappa prevista, il ritorno a piazza Castello per il Gran Finale del Festivaletteratura, e non saprò mai cos’ha detto Michael Cunningham ai mille di turno alle ore 18. Ma posso farne a meno senza sensi di colpa, e come me, forse, i miei quattro lettori, diventati tre o due a causa della lunghezza di questo post. Del resto, come accade sempre nel rapporto tra chi scrive e chi legge, c’è una graduale riduzione di tempi: io ho ridotto un’intera giornata (con tanta attenzione alle voci più varie, che hanno scritto per quattro vite) a un testo che ho impiegato quattro ore circa a scrivere e che voi avrete scorso o letto in non più di dieci-dodici minuti (4 o 5 per i più veloci nello scrolling), link esclusi. Spero solo, ringraziando per l’attenzione chi è arrivato fin qui, che non li consideriate “persi” e possano servire da semi, o da tracce, sul vostro personale percorso.
I post precedenti sul Festival: 1. Il padre di tutti i Festival; 2. Uno dei mille percorsi possibili ; 3. Mantova e il suo tempo dilatato; 4. Sos, sono stato in guerra
Tutte le foto, realizzate dai volontari, hanno il copyright del Festivaletteratura
Luciano Minerva