I versi di Sandra, in questi quadretti d’antan, hanno il sapore della riappropriazione dell’infanzia, dell’adolescenza e della prima giovinezza e, con esse, di un ambiente paesano e umano che si ricompone, pezzo dopo pezzo, sotto i nostri occhi e sembra far andare a ritroso il tempo.
Portoferraio, ma anche Rio Elba, dove Sandra ha vissuto per qualche anno, da sposa novella, ringiovaniscono di decenni e ci restituiscono il vetturino che passa con la sua carrozzella sulla Calata, mentre le tendine in finto pizzo svolazzano al vento e il passante intravede occhi e labbra di donne ciarliere; la verduraia che sta sulla porta della bottega e, oltre che delle sue primizie ortofrutticole, fa bella mostra anche del suo décolleté; il pescivendolo di Rio, Ciccillo, che vende pesce umile e pregiato e trasporta con sé sull’apino tre mosche viaggiatrici; il sagrestano magro magro che esce di chiesa, dopo essersi assicurato d’aver spento lumi e candele, e chiude a doppia mandata la casa del Signore; Olimpia, che salvò le vergini dai soldati dello sbarco, che tiene un banchetto di biancheria; la merciaia Marina, che continua a custodire i bottoni nei barattoli; la lavandaia Tersilia, con le mani nell’acqua gelida; l’orologiaio nel suo bugigattolo; il polpaio che offre la grampia di polpo fumante agli avventori sulle forchette di rame; il cenciaio che urla “cenci vecchi” e lei, bambina, che lo sente la mattina presto dal suo lettuccio, si ritira sotto le coperte perché lo immagina brutto e cattivo..
Dunque, un mondo che riprende vita miracolosamente sotto il nostro sguardo stupito e gratificato e ci racconta la straordinaria varietà e ricchezza della realtà quotidiana di ieri, quando non esistevano ancora i supermercati, che fagocitano attività e mestieri, e ciascun bottegaio svolgeva un ruolo fondamentale nel tessuto connettivo di un paese, un ruolo non solo economico, ma anche sociale, di comunicazione con gli acquirenti, di scambio di notizie, di informazione sugli acquisti, di aiuto nella scelta; così, attraverso la multiformità di quei mestieri era possibile, anche nei piccoli centri, una vita dignitosa e di relazione.
Ma Sandra non si limita a tratteggiarci, con rapide e incisive pennellate, i protagonisti di questa varia umanità: li inserisce in un contesto preciso, che non è soltanto lo spazio fisico in cui si muovono e ripetono con costanza gesti sempre uguali e al contempo, di giorno in giorno, necessariamente diversi per qualche particolare o imprevisto; no, lei spinge lo sguardo, spesso, oltre la porta e ci descrive una scalinata, allude a una chiesa, ci fa salire a cassetta col barrocciaio Giolitti, per portarci, a settembre, di podere in podere, dalle vigne alle cantine.
Poi, Sandra passa dalle vie, dalle piazze di Portoferraio o di Rio, negli interni delle abitazioni e qui incontriamo la sua tata, la “terza nonna”, che “intinge la spada nell’affetto” mettendo in riga tutta la famiglia; la bidella Nella che consola chi ha preso un brutto voto ed è orgogliosa di lavorare in un liceo; la maestra di piano che cambia posto allo strumento perché a giugno cominciano le performances degli allievi e c’è bisogno di una stanza più spaziosa; il cassiere di banca che maneggia i soldi come fossero carte; l’asilo delle suore e la loro buona cucina; la sarta che va a domicilio di casa in casa a fare o disfare orli.
Ma le figure più mitiche sono forse il fabbro con “gauanti neri e maschera sugli occhi”, che sprigiona scintille dal ferro che piega e che ricorda un dio Vulcano in miniatura e il postino che si arrampica sulla parte alta del paese, recapitando notizie belle o brutte ai compaesani..
Insomma, in questa bella silloge di Sandra, l’oggi è contrapposto all’ieri e il dentro al fuori, in una mescolanza di chiaroscuri d’affetto e di nostalgia per un mondo che certamente non ritornerà, ma che Sandra contribuisce a non farci dimenticare.
Maria Gisella Catuogno