Il cinghiale, all’Elba, è scomodo. È un bestione che si nutre di tutto quello che il sottobosco può offrirgli, come ricorda anche l’antico nome dei bulbi di ciclamino («pani porcini») e degli stessi funghi «porcini». Tutti gli escursionisti conoscono, loro malgrado, le escavazioni prodotte nottetempo nel bosco da frotte di cinghiali alla ricerca del cibo.
Ma questi odierni cinghiali dell’Elba, frutto d’incroci genetici tra razze diverse, spesso centroeuropee, furono introdotti per scopo di caccia solo nel 1963 dopo un’assenza durata più di 150 anni. I veri cinghiali dell’Elba, quelli cha la Natura aveva collocato su questo splendido fazzoletto di terra, appartenevano alla razza autoctona, meno prolifica e probabilmente meno invasiva. Il cinghiale rappresentava all’Elba un potente oggetto di caccia, un trofeo da esibire; nel 1744 il governatore Giovanni Vincenzo Coresi Del Bruno, nel suo manoscritto «Zibaldone di memorie», racconta infatti che gli abitanti di Poggio «…hanno cacce di lepri e cignali…».
Una caccia che però, come testimoniato nel 1771 dalla «Breve relazione dell’isola dell’Elba nel Mediterraneo» (il cui bel manoscritto si conserva a Portoferraio), era talmente nobile da essere riservata al Principe di Piombino, Gaetano I°: «Della caccia, oltre all’esservene come negl’altri contorni, in questo territorio [di Marciana] vi si trovano ancora dei cigniali, che si riguardano come caccia riservata al Principe.» Ma per i poveri cinghiali nati all’Elba si avvicinava la fine. Stretti in un territorio sempre più ricco di vigneti e sempre più povero di boscaglie, scomparvero sul finire del Settecento o tutt’al più nei primissimi anni dell’Ottocento. Ciò che contribuì alla loro estinzione dall’isola fu essenzialmente la spietata caccia inferta per arginare la devastazione provocata alle coltivazioni; nel 1791 lo storico elbano Sebastiano Lambardi testimoniò che «…vi erano alcuni cignali nei boschi, verso il Cavo di Sant’Andrea, che come dannosi alle semente della campagna sono stati distrutti dai cacciatori.» Pochi anni dopo, quasi a suggellare una drammatica irreversibilità, il naturalista francese Arsenne Thiébaut De Bernaud constatava la realtà nel suo «Voyage à l’isle d’Elbe» del 1808: «La razza dei cinghiali è scomparsa da pochi anni. Di memoria recente, il Capo Sant’Andrea, vicino Marciana; il Capo Pero, coperto di macchia, territorio di Rio; i dintorni di Campo ne erano ancora popolati.» Eppure il vituperato scomparso non era del tutto svanito dalla memoria popolare; sul sigillo del governatore marcianese Antonio Sardi, vigorosamente impresso su una lettera del dicembre 1778, compare lo stemma personale: un cinghiale ai piedi di un albero.
Silvestre Ferruzzi