In che cosa si misura la dignità di un’isola? Quando si ha a che fare con Pianosa, ogni parametro crolla, si ridimensiona, assume una connotazione particolare e più intensa.
Il vecchio cimitero dei detenuti, molto diverso da quello dei civili, rende silenziosamente ma potentemente giustizia di questi ultimi anni di grande vuoto, di attesa, di sospensione da ogni logica, per riassumerli in una unica immagine di serenità, gravità, compostezza e serenità, se mai è possibile coniugare in un luogo solo tutti questi aggettivi.
La recente sistemazione, semplice ma accurata, di quello che rimane del terreno interno al cimitero, il recupero e ricostruzione delle vecchie croci di legno vengono rese ancora più efficaci dalla impressionante fioritura di rizomi di iris viola selvatici, preceduta da nuvole di asfodeli chiari, che sembrano attutire i passi dei rari visitatori.
L’imminente restauro dei dipinti della cappellina dalle connotazioni drammatiche con nobili ispirazioni classicheggianti, promosso dall’Associazione per la Difesa di Pianosa e monitorato dalla Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio per le province di Pisa e Livorno, grazie all’intercessione dell’autorità carceraria, farà svanire d’un sol colpo ogni tensione degli anni bui, quelli che, con grande pompa, erano stati ricordati ancora una volta dalla apposizione di targhe stradali commemorative che, stridenti, appaiono lontane dalla vera anima di Pianosa.
Se approdate sull’isola, chiedete del cimitero, andate a visitarlo, leggete e ricordate le due scritte dell’ingresso, “Eravamo come voi siete, Sarete come noi siamo”: vi ci avvicinerete curiosi, ve ne allontanerete umili, illuminati da una forza e da una verità che sembrano, finalmente, sanare la profonda ferita inferta agli uomini che l’hanno popolata, vissuta, e abbandonata.