All’Elba mi legano ricordi di molti anni addietro, quando ci venivo con la mia famiglia e passavamo tutto un mese in una pensioncina dove si mangiava, quasi come a casa, alla buona. Quelli erano tempi in cui anche un modesto funzionario dello Stato come mio padre poteva permettersi il lusso di portare moglie e figlie in vacanza nel vostro paradiso. Si può dire che noi ragazze vivessimo buona parte dell’anno nell’aspettativa del giorno dello sbarco sull’isola, per indossare i vestitini leggeri che ci cuciva nostra madre, per immergerci nel mare trasparente, ed anche dopo la sempre struggente partenza, quando si lasciavano all’Elba le amicizie gli amori adolescenziali di un’estate, per mesi ancora vivessimo anche del ricordo di quelle quattro settimane.
Poi quell’abitudine, quel legame (capita) si interruppe e le vicissitudini mi portarono lontano dall’Elba e dall’Italia dove sono tornata da poco.
Raccogliendo un invito di amici che per la prima volta venivano all’Elba in una casa-vacanze, e sapevano dei miei trascorsi isolani, mi sono unita al gruppo, assumendo ovviamente il ruolo di “guida”.
Una guida spaesata, confusa e sorpresa negativamente da quello che ho trovato al posto della “mia” Isola d’Elba, a partire dalle tariffe ignobili per prendere il traghetto e dall’impatto serale con il viale ed il lungomare delle Ghiaie, rifatto bene, certamente, ma dove invece della moltitudine di persone che ci avevo lasciato (ricordo che era un problema trovare posto per sedersi ai bar o anche sul muretto della spiaggia) quattro tristi gatti. Altra brutta sorpresa è stato vedere un numero assurdo di case, casupole, condomini e villette dove mi ricordavo c’erano le campagne, le vigne, ed un vero pugno nello stomaco, dopo aver detto ai miei amici che li avrei condotti a mangiare un ragù di polpo, trovare un ristorante cinese (!) al posto della vecchia trattoria.
Ma al massimo del disappunto ci sono arrivata quando ho portato il gruppo alla villa romana delle Grotte e mi sono trovata davanti ad un cancello serrato, senza speranza di apertura, ed una recinzione che la circondava.
Testardamente ho cercato un pertugio ed in maniera avventurosa (ed illegale) siamo riusciti a giungere nell’area degli scavi, rimasti mi pare come li avevo lasciati, con in più solo qualche paletto e corde per delimitare il percorso che nessuno compie e qualche cartello esplicativo sommerso ormai da una vegetazione spontanea che invade tutto il complesso.
Là, davanti ad uno dei panorami più belli del mondo che ho visto, davanti a quello spettacolo negato a tutti, uno dei miei amici ha osservato: “Ma gli elbani sono matti ad avere una cosa del genere e chiuderla, e lasciarla in questo stato? Ma da chi dipende? Ma non si vergognano?”
Scusandomi se mi sono dilungata troppo, giro a voi le sue domande.
Paola B. – Roma
Gentile Signora Paola
In estrema sintesi, per quanto ci compete:
- sì, concordiamo col suo amico, bisogna essere prossimi alla incapacità di intendere e volere per abbandonare una simile risorsa;
- il complesso è di proprietà privata e nessuna delle amministrazioni che hanno governato Portoferraio ha mai ritenuto opportuno procedere (come sarebbe accaduto in qualsiasi altro paese del mondo civile) ad acquisirne proprietà, disponibilità, gestione;
- evidentemente per vergognarsi, nel caso, occorrerebbe un pudore, una cultura, una sensibilità ed una coscienza civile di cui non si dispone.
La ringraziamo per averci scritto
sergio rossi