Il nuovo lavoro di Gianfranco Vanagolli, uscito in questi giorni per i tipi del Foglio Letterario, è un romanzo "Il tesoro del Carmine" che segue ad altri suoi lavori di narrativa, dai quali si distingue per la misura. Di questi, ricordiamo le Leggende dell’Arcipelago Toscano (1995) e Il Cacciadiavoli e altro mare (2001): nove frammenti del nostro archivio folcloristico, il primo; una raccolta di racconti, il secondo. Essi apparvero con le prefazioni rispettivamente di Gaspare Barbiellini Amidei e di Noemi Giachery, che vollero premiare l’autore per essersi posto come l’interprete e il custode di certe radici minacciate dall’ala del tempo e dagli assalti di subculture tanto aggressive quanto inconsistenti, prodotto dei peggiori aspetti della società di massa.
Il romanzo ha, a sua volta, un presentatore di grande prestigio, Ernesto Ferrero, Premio Strega con il notissimo N e direttore del Salone del Libro di Torino, che vi ha colto un’eco dei suoi interessi storici e letterari. Esso, infatti, sviluppa una vicenda tutta interna ai Trecento giorni del soggiorno di Napoleone all’Elba e ai successivi Cento che si conclusero con il massacro di Waterloo. Ne è protagonista Jean Thomas, un giovane ufficiale dell’armata del Beauharnais che vive una straordinaria caccia al tesoro, mentre conosce i personaggi più importanti del diorama insulare, da Drouot a Cambronne a Paolina allo stesso imperatore, coltivando amori capaci di segnarlo ciascuno a suo modo e lasciandosi coinvolgere in un’intricata rete sotterranea popolata da massoni, cospiratori, spie, sicari, nelle cui motivazioni si rinvengono potenti molle quali l’ideale e il denaro.
In Thomas Ernesto Ferrero coglie una carica stendhaliana, che è indiscutibile e che si riverbera sull’intero romanzo, avvincente proprio per il suo ritmo, non meno che per la sua trama, distesa su un’ampia geografia, allargata dall’Elba a Napoli a Parma a Parigi, ma il cui cuore è la chiesa portoferraiese del Carmine ovvero il Teatro dell’Accademia dei Fortunati, dopo la sua trasformazione imposta dal grande còrso, il luogo dove il tesoro viene a lungo insistentemente cercato.
Vanagolli ha saputo rendere, inoltre, evitando con maestria la trappola del patetico e del colore vieto, grazie anche a una scrittura intensa, ma vivace, la condizione crepuscolare che fu dell’Elba assediata reliquia dell’impero nel mare dalla Restaurazione. Essa passa attraverso brevi dialoghi, sfondi accennati, giochi di luce, momentanei incanti: pennellate che nutrono una tela davvero difficilmente dimenticabile.
S.D.