Nel 1970 fa una notissima rock-band inglese i "Nice" (tra i suoi membri Keith Emerson, il geniale tastierista scomparso da qualche mese) si resero autori di una memorabile operazione discografica, incidendo con l'Orchestra Filarmonica di Londra un vinile "The Five Bridges" che è rimasto come un caposaldo delle fusion musicali tra musica "colta" e pop: cinque ponti musicali gettati tra generi ed interpreti diversi, che dimostravano però come il rimescolamento, la contaminazione che aveva fatto storcere il naso ai "puristi", era invece capace di produrre interessanti "ibridi", nel confronto tra le sonorità di un organo Hammond e quelle degli accademici ottoni, e soprattutto creava dal diverso, un consolidato nuovo.
Ravanatèra band elbana (anzi insulare) di freschissimo conio, ha, nelle sue dimensioni, tentato un'operazione simile, per niente facile o scontanta:
Anche in questo caso si è tentato di costruire ponti tra le testimonianze del cantare povero e quotidiano di un'isola, che ormai sopravvive solo nelle documentazioni d'epoca ed in sempre più labili umani ricordi, ed i timbri delle moderne strumentazioni, un gusto musicale evoluto, i ritmi di emissione, ascolto e consumo di gente che è cambiata, che non è più la stessa.
A giudicare dalla "prima" dal debutto all'Enoteca delle Fortezze nel ventre roccioso mediceo, i risultati sono parsi più che promettenti, il mix ha funzionato.
Uno dei riscontri lo ha fornito l'energia, a tratti quasi tribale, che ottimi musicisti hanno saputo esprimere, ma soprattutto che ha "infettato" il pubblico di una mega-osteria (come era giusto che fosse) musicale, capace di riempirsi di gente (anche) intenta a bere mangiare e contemporaneamente non perdere una delle note melodiche in lingua antica, intrecciate dalla voce sofisticata di Daniela Sorìa (leader carismatico dei Ravanatèra), per poi farsi trascinare in uno scatenato boogie woogie, in una simil-tarantella, o in un'altra diavoleria di arrangiamento costato prove su prove.
Ne è emersa musica liberatoria, sorretta da un percussionista preciso e fantasioso come Alessandro Balestrini, cucita dalle preziose chitarre elettriche del virtuoso Massimo Galli, riempita dalla altra voce, quella maschile di Francesco Porro, portatore sano anche degli irrinunciabili accenti "classici" che solo la sua chitarra acustica poteva fornire, ingentilita dal Violino di Susanna della Scala che dava come pennellate ultime ad un affresco popolare.
Il 29 Dicembre alle fortezze, la "Caterina" (protagonista emblematica della musica popolare isolana) è tornata tra gli elbani nel suo splendore di ragazza innamorata, nella sua birichina sessualità, nella sua dolcezza di mamma cullante, nella tristezza dei giorni bui per lei e per la sua gente, si è soffiata via dalla fronte un ricciolo ribelle, intonando un canto anarchico.
Operazione riuscita: si può far musica popolare commovendo e divertendo, rivisitando in chiave moderna un patrimonio sterminato di suoni del passato.
E ora? Ora si prosegue "ravanando" ancora nel tra le nostre radici, continuando a pescare perle nelle antiche ricerche, a sgrezzare il raccolto e da affinarlo, per offrire un prodotto culturale autoctono, vero depurato da ogni falsa cartolinesca zuccherosità, una fotografia dell'isola a disposizione di organizzatori si eventi o di chi di chi ne vorrà semplicemente far dono ai suoi ospiti.
"Ma si lavora già per costruire altri ponti verso altre realtà insulari - afferma Daniela - gia stasera abbiamo presentato una canzone corsa (il sottotitole del gruppo è Canzoniere d'Isole NDR) pensiamo ad altre possibili contaminazioni-confronto con il folk sardo, campano e poi chissà, Sergio Rossi, nel primo spettacolo componente narrante dei Ravanatèra, proseguirà con noi a ricercare e confrontare nel panorama etnomusicologico... per fornire altri imput".
L.G.