Avevo inizialmente deciso di non intervenire nella vicenda, anzi nelle vicende e nelle polemiche giustamente sollevate da Gianfranco Vanagolli. Probabilmente non ho nulla da dire rispetto a 366 giorni fa (http://www.elbareport.it/arte-cultura/item/19722-franco-cambi-una-risorsa-per-lisola-delba) e, forse, si tratta di cose dette e ridette. Dette e ridette non solo all’Elba ma anche da altre parti.
Non esistono più separazioni fra patrimonio culturale e risorse ambientali. Quando si danneggia l’ambiente si danneggia anche la cultura e viceversa. Quando si migliora l’uno si migliora l’altro. Quando si investe nell’uno le ricadute varranno anche per l’altro.
In un mondo oggi pesantemente antropizzato e globalizzato è forse più utile parlare di patrimoni territoriali o paesaggistici, senza nulla togliere a nessuno dei diversissimi aspetti che compongono questi insiemi e che richiedono, ciascuno, proprie specifiche competenze. Come nel caso di un paziente affetto da un male misterioso, servono sicuramente medici specialisti di questo o quell’organo o di questa o quella patologia ma serve anche chi misuri la temperatura, ausculti il torace, tasti la pancia e chieda al paziente quali malattie ha avuto in passato.
Il caso del patrimonio territoriale dell’Elba è quello di un paziente trascurato e che si trascura. La terapia non si può stabilire perché manca la diagnosi e la diagnosi non ci sarà finché non verrà delineato un quadro clinico soddisfacente. Se preferite, è il caso di un atleta potenzialmente formidabile che, però, fuma, mangia troppo, si allena poco e male e alla fine fa deludenti prestazioni.
Tralascio, per il momento, le considerazioni relative all’immagine, poco accattivante, che si riverbera all’esterno e vengo al dunque.
Piangiamo, oggi, la scomparsa dell’edificio situato presso Capo Pero, noto come “Il Dormentorio”, ricordato da Gianfranco Vanagolli. Domani sarà la volta della Cappella Tonietti o di Monte Giove. Guarda caso, si piange sempre dopo che il malato si è aggravato irrimediabilmente o addirittura quando è morto. L’Elba è (era) ricca di testimonianze di archeologia industriale, e anche queste testimonianze, considerate un freno allo sviluppo urbanistico fino a qualche anno fa, sono diventate attrattori formidabili per il turismo culturale ed esperienziale. Ho lavorato per qualche tempo nel Monte Amiata, ad Abbadia San Salvatore. Ebbene, a fronte della sempre più profonda crisi del turismo invernale, acuita dalle sempre più scarse e occasionali nevicate, proprio le storie e le archeologie della miniera amiatina stanno diventando motivo di forte attrazione e di valorizzazione di quel contesto sociale, economico e culturale. All’Elba, non si sa che cosa fare del nostro passato industriale. Non si sa nulla neanche di che cosa stia per accadere di quanto resta del vecchio edificio degli Altiforni, ultimo vestigio di PortoFERRAIO.
Posso sforzarmi di capire il fatto che i privati, a vari livelli, pongano le loro più diverse istanze, che vanno dalla costruzione di ville all’implementazione di attività economiche e commerciali. Quello che non riuscirò mai a capire è l’atteggiamento delle pubbliche amministrazioni, improntato o alla chiusura più totale (spesso velleitaria e irrealistica) o alla più disarmante acquiescenza, mai alla mediazione nell’interesse collettivo. Se chi ha demolito il Dormentorio lo ha fatto in spregio alle normative vigenti, deve essere conseguentemente perseguito. Se aveva tutte le autorizzazioni richieste, c’è la possibilità che la disquisizione divenga, a questo punto, puramente accademica.
Ad essere danneggiata, irreparabilmente e comunque, è la collettività-comunità che viene in questo modo privata di una sua parte di eredità storica. E allora dico, a costo di farmi altri nemici: come vedete il futuro del capannone degli Altiforni di Portoferraio? Volete che crolli su sé stesso? Volete vederlo raso al suolo e ricostruito in forma urbanistica strepitosamente pseudomoderna?
Volete che venga recuperato in maniera armoniosa e intelligente, conservandone volumetrie e stili architettonici, bonificato e destinato a servizi di pubblica utilità oppure anche a edilizia privata?
E’ impossibile costruire il futuro a prescindere dal passato, questa è cosa risaputa. Ma è altrettanto difficile decidere che cosa fare di un patrimonio culturale vasto e ricco senza conoscerlo. Ci sono cose sopra la terra che vediamo e che crediamo di conoscere. Poi ci sono cose sottoterra che non abbiamo mai visto, centinaia e migliaia di prodotti del vivere umano che non conosciamo e che forse non conosceremo mai. I resti romani della Linguella sono solo una parte infinitesimale della vita romana di Portoferraio, che si estendeva anche nei pressi del Duomo, al Forte Stella, nei dintorni dei Mulini, forse anche verso la Porta a Terra.
Bisognerebbe, per il momento, partire da un monitoraggio di quello che si sa, che vada oltre le specifiche criticità e i confini amministrativi e registri i rischi di degrado in corso o imminenti. Serve una carta collegata a un database e un sistema informativo messo in rete (un web-gis), possibilmente a disposizione di tutti, perché tutti (cittadini, scuole, imprese, associazioni) possano avere una idea, anche generale, di tutto quello che c’è e di quanto poco noi conosciamo, di questo tutto.
In linea di principio sono contrario alla costituzione di commissioni o comitati ad hoc. Per esperienza acquisita so che sono porti delle nebbie, dove i problemi stagnano e crescono senza trovare soluzioni. Stavolta penso che si debba costituire un comitato di salute pubblica, snello, che raccolga le segnalazioni urgenti e si muova di concerto e seguendo le indicazioni delle competenti Soprintendenze. Bisogna, però, mettere seriamente al lavoro una squadra di giovani (storici, archeologi, geologi, storici dell’arte) che costruisca questo sistema informativo, che potrà arricchirsi rapidamente, diventando anche strumento di valorizzazione, di comunicazione e di promozione a beneficio dei turisti.
Dove trovare le risorse per sostenere questa squadra? Devo ripetere, un anno dopo, le stesse cose. Nel settore della valorizzazione-comunicazione-promozione del patrimonio paesaggistico si devono impiegare i proventi della tassa di sbarco. Su questo punto non sarà difficile trovare convergenze forti fra mondi diversi e solo apparentemente lontani: imprese, associazioni, scuole, università, semplici cittadini. All’Elba c’è in questo momento una sete di conoscenza fortissima e una fortissima voglia di andare avanti e di investire nel futuro, smettendo di guardare strabicamente al passato e superando la frustrazione di non potere trasformare i beni ambientali e culturali anche in attrattori turistici. Ma questi enti sono, come noi, appunto, facitori di progetti e loro utenti.
Alla fine è la politica che deve decidere e credo debba farlo anche rapidamente e nell’interesse della comunità isolana.
Franco Cambi
Docente di Archeologia dei Paesaggi
Università di Siena