Mercoledì 5 luglio, dalle ore 19.30, presso l'Agriturismo L'Amandolo, a Cavo, nella splendida cornice naturale dominata dal mare e dal verde, e allietata dalla musica degli allievi di Micaela Boano, si terrà una cena nel corso della quale Elbadautore, di Silvia Boano e Federico Regini, presenterà con il prof. Giorgio Barsotti e l'autrice, Maria Gisella Catuogno, il libro "D'amore e d'acqua / Viaggi, avventure, passioni dei giovani Georges e Tigy Simenon": un'occasione per parlare anche di Isola d'Elba, dato che la tappa più lunga della crociera nel Mediterraneo della coppia fu proprio quella cavese, e per riflettere su come eravamo. Lo scrittore, nel suo diario di bordo, dedica infatti molte pagine alla nostra gente, ne ammira la solidarietà sorridente, la povertà dignitosa, la condivisione delle ristrettezze e delle gioie. Insomma, un'occasione per non disperdere il nostro passato, ma farne tesoro per progettare il futuro.
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Del libro, ecco la recensione di Gabriella Bassani, insegnante imolese, scrittrice e fine intellettuale attualmente residente a San Piero in Campo:
Dopo la recente pubblicazione di “Passioni” (un buon romanzo che proprio in questi giorni riceve il premio letterario “Casentino”), Maria Gisella Catuogno esce con un nuovo libro, questa volta lontano dalle atmosfere ottocentesche e necessariamente romantiche del primo, ma forse, al confronto, ancora più apprezzabile: “D’amore e d’acqua” è il titolo, “viaggi, avventure, passioni dei giovani Georges e Tigy Simenon”. Una prova d’autore che supera, a mio avviso, la precedente, per impianto compositivo e padronanza descrittiva. Coco Chanel diceva che, per raggiungere l’autentica eleganza, bisogna togliere e non aggiungere. In questo caso, rispetto a “Passioni” il risultato letterario rimanda ad una semplicità paragonabile alla antica “sprezzatura”. Che poi altro non è che fare apparire facile il frutto complesso di lavoro, talento, ricerca e maturità di esperienze culturali. La trama, come chiaramente il titolo allude, narra le vicende umane e sentimentali di un giovane Georges Simenon e della sua prima moglie Regine, detta Tigy, “una donna molto signorile” secondo Daria Galateria, non ancora spezzata dai tradimenti seriali del marito. E poi i loro numerosi viaggi in battello per le vie dell’acqua, soprattutto per mare, seguendo la curiosità inquieta di lui, che li portava entrambi ad intraprendere sempre nuove conoscenze ed avventure. Dal plot emergono così narrazioni di viaggi, notazioni psicologiche, notizie storiche, descrizioni di luoghi che, come si diceva, scorrono con naturalezza davanti ai nostri occhi. Veniamo così a conoscere tante cose, risultato di ricerche rigorose ed analisi approfondite, decantate e reinterpretate secondo la misura della levità. Il libro è abbastanza breve, duecento pagine, che si leggono bene, con lo straniamento curioso delle letture avvincenti. Alcune tappe di questa storia rimandano ad altre storie e ad altri libri, come spesso (sempre?) avviene per gli amanti della lettura che hanno una biblioteca nella loro anima, per non dire tutta l’anima in una grande biblioteca ideale. Ad esempio, la festa di Capodanno del 1927 che la giovane coppia Simenon organizza nel proprio appartamento del Marais, ci riporta alla “Parigi dei bei tempi andati, quando eravamo molto poveri e molto felici” descritta in “Festa mobile” di Ernest Hemingway, che uscì nel 1926. Parigi era allora la patria morale, e alle volte immorale, della “generazione perduta”, come Woody Allen descrive troppo zuccherosamente in “Midnight Paris”. Suggestioni a parte, la città fu crocevia d’incontri, ispirazioni ed aspirazioni per talenti che poi divennero scrittori grandissimi: Hemingway, Fitzgerald, Joyce e lo stesso Simenon, al quale pure il tributo di grande arrivò dopo. Così come Hemingway, anche Georges, allora, faceva per mantenersi il mestiere del giornalista. Frequentava bistrot e famosi locali notturni (tra l’altro, ebbe come amante Josephine Baker), ma spesso non riusciva a sbarcare il lunario. In questa Parigi così movimentata e viva, Simenon scrive già romanzi, ma sotto pseudonimo e si appoggia, anche materialmente, alla saggia Tigy. Ma sono anni in cui la letteratura può dare fama e ricchezza, come era avvenuto per Francis Scott Fitzgerald (lui e Zelda, altra coppia degli “anni folli”) al quale, però, Hemingway rimproverava un certo “complesso di inferiorità” nei confronti dei veri ricchi. Simenon, gordianamente ( per non dire guasconamente) risolverà la delicata questione, diventando milionario. Ma per ora Georges deve inseguire le proprie aspirazioni, ed uscire da Parigi per navigare verso altri paesaggi e nuovi orizzonti. Ad un certo punto, la coppia (anzi, il triangolo: lui, lei e la capricciosa servetta Boule) prenderà il largo attraverso il Mediterraneo, alla scoperta di quella variegata unità geografica e culturale che è sempre stato il Mare Nostrum, osservato e descritto dalla prospettiva più giusta ed autentica: ovvero da una barca. E sarà sulla goletta “Araldo”, condotta da un equipaggio elbano, che Georges, Tigy, Boule e il cane Olaf, approderanno anche all’isola d’Elba, a quel tempo ancora arcaica ed innocente. Quasi mitica nel segno di richiami ancora omerici: le onde e i marinai, i porti e gli ulivi, i contadini e gli asini. La rievocazione dell’Elba di cent’anni fa è forse il pezzo forte del romanzo. Una descrizione che tocca le corde dell’affetto sincero, ma non cade mai nel sentimentalismo, anzi attraverso il realismo, recupera ciò che ancora resta visibile e percepibile anche ora. Mentre l’autrice rielabora la memoria genetica della sua terra, il nostro attento lettore ritrova le suggestioni di “Breviario mediterraneo” di Predrag Matvejevic. Le rotte e i porti sono tanti. Durante una navigazione l’”Araldo” incrocia il leggendario transatlantico “Rex”. Un’ immagine fugace e fascinosa di un mondo elegante e irripetibile, ma pure un accenno colto e discreto all’amicizia che legò Simenon a Federico Fellini negli anni della vecchiaia. Simenon a differenza di Fitzgerald, non lavorò mai per il cinema come autore di sceneggiature. Tuttavia molti dei suoi romanzi furono tradotti per lo schermo e, oltre che di Fellini, egli fu molto amico di Jean Renoir. Inevitabilmente, nell’arte del ‘900, cinema e letteratura spesso si intersecano. E, pensandoci bene, tutta la vita di Simenon, fu, nel bene e nel male, un film complicato nel quale, come accade sempre, la realtà superò la fantasia. A tal proposito, vorrei sottolineare che non era affatto cosa facile e scontata scrivere di e su Simenon: troppo famoso, troppo chiacchierato, troppo pop, persino troppo tombeur de femmes. Anzi, l’eccessiva esuberanza sessuale dell’uomo, al limite del parossismo, poteva rappresentare per qualsiasi altro scrittore una trappola da ben oltre cinquanta sfumature di grigio. Ma dall’autrice il possibile impasse viene brillantemente evitato grazie ad una soffusa ironia tutta francese con cui vengono narrate le avventure erotiche di Simenon. Una “tendenza Marivaux”, che quasi lo assolve, ascrivendolo al prototipo del libertino settecentesco.