Caro direttore voglio contribuire alla discussione avviata dall’amico Franco Cambi sul tuo giornale relativa alla domanda di cultura che cresce.
Nella nostra interpretazione il cibo, il vino fanno parte della cultura di un luogo, e sono a tutti gli effetti un prodotto culturale, meno nobilitato di altri ma sempre parte integrante della cultura di un territorio. Nelle attività che abbiamo svolto in questi anni abbiamo sempre cercato di costruire legami con altre componenti della cultura locale che significativamente su questa isola abbondano e abbiamo prodotto numerose iniziative, la più significativa è stata quella organizzata in collaborazione con l’Accademia dei Georgofili sugli scavi archeologici di S. Giovanni e il vino in anfora nella loro prestigiosa sede fiorentina. Il cibo come cultura è valore aggiunto per il turismo di un luogo, è identità e opportunità di sviluppo. Una recente ricerca riporta come circa un terzo dei 38 milioni di italiani in vacanza acquista prodotti food del territorio che visita, una buona occasione per far conoscere attraverso il cibo aspetti della cultura di un territorio, mi auguro che anche all’Elba si cominci a prendere in considerazione il buon cibo e gli artigiani che lo producono e lo trasformano come rappresentati della cultura del loro territorio.
Mi piace citare dalla prefazione de “La Scienza in cucina e l’Arte del mangiar bene” di Pellegrino Artusi questo passo che bene descrive la considerazione che si aveva dell’arte di preparare il cibo.
Due sono le funzioni principali della vita: la nutrizione e la propagazione della specie; a coloro quindi che, rivolgendo la mente a questi due bisogni dell’esistenza, li studiano e suggeriscono norme onde vengano soddisfatti nel miglior modo possibile, per render meno triste la vita stessa, e per giovare all’umanità, sia lecito sperare che questa, pur se non apprezza le loro fatiche, sia almeno prodiga di un benigno compatimento.
Il senso racchiuso in queste poche righe, premesse alla terza edizione, essendo stato svolto con più competenza in una lettera familiare a me diretta dal chiarissimo poeta Lorenzo Stecchetti, mi procuro il piacere di trascrivere le sue parole.
“Il genere umano dura solo perché l’uomo ha l’istinto della conservazione e quello della riproduzione e sente vivissimo il bisogno di soddisfarvi. Alla soddisfazione di un bisogno va sempre unito un piacere e il piacere della conservazione si ha nel senso del gusto e quello della riproduzione nel senso del tatto. Se l’uomo non appetisse cibo o non provasse stimoli sessuali, il genere umano finirebbe subito. Il gusto e il tatto sono quindi i sensi più necessari, anzi indispensabili alla vita dell’individuo e della specie. Gli altri aiutano soltanto e si può vivere ciechi e sordi, ma non senza l’attività funzionale degli organi del gusto.
Come è dunque che nella scala dei sensi i due più necessari alla vita e alla trasmissione sono reputati i più vili? Perché quel che soddisfa gli altri sensi, pittura, musica, ecc. si dice arte, si ritiene cosa nobile, ed ignobile invece quel che soddisfa il gusto? Perché chi gode vedendo un bel quadro o sentendo una bella sinfonia è reputato superiore a chi gode mangiando una eccellente vivanda? Ci sono dunque tali ineguaglianze anche tra i sensi che chi lavora ha una camicia e chi non lavora ne ha due?.........
Valter Giuliani
Presidente Consorzio ElbaTaste