Ho letto un po' frettolosamente tutte le dichiarazioni e articoli scritti attorno alla questione Pietro Gori, che il mio amico Marcello Mellini, mi ha comunicato oggi stesso telefonandomi dall'Elba. Si tratta dell'eventuale cambiamento del nome della Piazza, intitolata a Pietro Gori, ma non vorrei immediatamente entrare nella polemica fra favorevoli e contrari, vorrei prima ricordare l'elbanità di Pietro Gori riguardando e rileggendo alcune parti del libro che pubblicai nel 1996, Pietro Gori Elbano, per poi decidere e dichiarare la mia posizione.
Intanto Pietro Gori era e si sentiva profondamente Elbano, nato a Messina nel periodo in cui il padre era di stanza in Sicilia, anche se più precisamente si dichiarava santilariese d'elezione: Gori stesso, ricordando la morte del padre, si esprimeva: “(...) il mio bel vecchio, solenne quercia elbana.”
Per non parlare del nonno Pietro, sepolto nel Cimitero di Sant'Ilario e insignito della medaglia di Sant'Elena, come combattente nelle armate napoleoniche e parte del drappello di Elbani che partirono insieme all'Imperatore nella Petite Armée, verso la breve riconquista di Parigi e verso la sconfitta definitiva di Waterloo.
Tornando a fare un po' di storia e se preferite di memoria, il giovane Gori crebbe a Sant'Ilario, dove tutti lo ricordavano: questo lo posso dire perché ho trascorso alcune estati a Sant'Ilario; giovane 'bambolo', come forse si dice ancora da quelle parti, che aveva bisogno di aria buona e salutare. Tutti parlavano di Pietro Gori come uno di famiglia, uno di loro: la sua memoria, a cinquant'anni dalla scomparsa, era ben vivida e tutti si sentivano orgogliosi di quella grande figura che sembrava appartenere a tutti i paesani indistintamente.
Voglio inoltre precisare che il termine Elbano, usato come appellativo del Gori nel titolo del libro a lui dedicato, non è assolutamente casuale perché lo usava lui stesso nelle prime cronache di carattere culturale e sociale che inviava alle testate giornalistiche locali (allora numerose nell'isola).
In quei primi articoli, consultati ormai più di quarant'anni fa alla Foresiana, fra i giornali di fine Ottocento, lui scriveva in nome e per conto della Società Operaia di Mutuo Soccorso fra i cavatori di granito del versante occidentale dell'isola di cui era presidente.
Così rintracciai l'inizio la sua vita politica tutta rivolta alla difesa del popolo e delle condizioni dei lavoratori. Più precisamente l'uso di quello pseudonimo cominciò sul Corriere dell'Elba, il cui proprietario e redattore, l'avvocato Cesare Cestari, bella figura di avvocato e uomo di cultura, era amico ed estimatore del Nostro.
Anche nella parte della vita che lo vide oratore, avvocato del popolo e viaggiatore solerte in molte parti del mondo e per lunghi anni, sempre continuò a professarsi Elbano e in più occasioni ripeteva la sua appartenenza ideale all'Elba, terra e radice dei suoi avi.
Per concludere vorrei riprendere ciò che il ventiduenne Gori stesso scriveva nell'ottobre del 1887: “Amo di cuore l'Elba pei ricordi infantili e per amicizie carissime e sarei felice se la mia povera penna, né vendereccia, né venduta e la mia povera intelligenza, potessero in qualche modo contribuire all'estirpazione di questa mala pianta dell'esclusivismo paesano, che funesta purtroppo l'isola nostra.”
L'Elba che aveva visto la nascita di un Gori politicamente impegnato e che fu il primo scenario della sua militanza, fu anche il luogo nel quale il nostro Elbano preferì e scelse di finire la sua vita, duramente colpita dalla tisi, malattia che ormai ne stava minando il fisico, fino a causargli una morte prematura.
L'Elba inoltre fu il luogo scelto come ritiro dall'attività politica militante, radicalmente cambiata la situazione politica fra le masse operaie e rinnovato lui stesso. Cambiamento attestato da due lettere indirizzate a Sandro Foresi, dopo che che era stato duramente contestato dai suoi stessi compagni di fede.
Dall'Elba, nei suoi ultimi anni di vita, egli partiva perfettamente cosciente delle sue reali condizioni di salute, correndo per tutta Italia a difendere i suoi compagni lavoratori o semplici uomini e donne del popolo; combattendo per un giustizia equanime, con memorabili arringhe che infiammavano gli astanti. Nell'ultimo periodo della sua vita all'Elba fondò un'Associazione Culturale intitolata “Pro-Cultura”, “(…) intesa a combattere il più grande nemico che ostacoli il progresso dei popoli e ne ritardi l'innalzamento, e questo nemico è l'ignoranza”.
Per comprendere appieno Pietro Gori vorrei citare quali furono le parole raccolte fra gli ultimi scritti: “Io per esempio ho sempre benedetto la corrente luminosa del giovane Galileo, l'anarchico dalla camicia rossa di diciotto secoli or sono. Caifa fu il pubblico ministero di quel giusto e ne chiese la condanna come sobillatore. Ma poi la storia incorruttibile diede ragione al rivoluzionario di Betlemme e condannò i suoi giudici. Da allora perciò Egli, Gesù, primo apportatore delle buona novella ai poveri e agli afflitti, parla ancora attraverso i secoli”, Pietro Gori.
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I miei cari amici Elbani non hanno compreso un aspetto o non hanno fatto una dovuta riflessione sulla vicenda che, pur con le dovute distanze storiche, umane e individuali, il nostro concittadino Giovanni Ageno ha avuto una sorte assai simile o analoga a quella del giovane Pietro Gori Elbano, che appena venticinquenne fu condannato a un anno di galera per le parole pronunciate durante un comizio a Livorno.
Spero che questa mia proposta o piccolo contributo possa servire di riflessione e di pacificazione degli animi perché credo finiscano con lo sbagliare sia quelli duramente favorevoli al cambiamento del nome della Piazza e sia quelli concitatamente sfavorevoli.
Sebbene in cuor mio rimanga ancora incerto, credo ragionevolmente sia possibile una soluzione equa e giusta e che comunque trovo proprio in merito alle ragioni esposte che sia lasciato il nome della Piazza a Pietro Gori e trovata una degnissima localizzazione per il nostro sfortunato, ma apprezzato concittadino Giovanni Ageno.
Alessandro Canestrelli