Cari Lettori
In una giornata amarissima per una comunità cittadina, che dovrà prendere atto di essere guidata da chi si è dimostrato incapace, smentendo sé stesso, di essere "il sindaco di tutti", vi proponiamo un omaggio particolare, dovuto ad una paziente ricerca e trascrizione della Prof.ssa Fancesca Romana Stabile dell'Ateneo di Roma, un lavoro pregevole che la docente ha condotto in questi giorni, pure lei mossa dalla indignazione per le ottuse scelte ferajesi, con la "cacciata" di Pietro Gori dalla sua piazza.
Si tratta del testo integrale di un lungo articolo pubblicato 106 anni e 23 giorni fa, in prima pagina, dal Messaggero quello che era (e resta) uno dei più importanti quotidiani nazionali.
Un articolo scritto nell'immediatezza delle ore che seguivano allo spengersi dell'anarchico di fronte al mare della Darsena Medicea, che riletto oggi, al netto del mutamento del linguaggio e dello stile, così come di comuni convincimenti d'epoca, fornisce chiaramente - ove ancora occorresse - un quadro della grandezza del personaggio, della sua rilevanza nazionale ed internazionale, della importanza che gli attribuivano i suoi contemporanei.
Dal passato a futura memoria
s.r.
FONTE: Roma, Archivio Storico Capitolino, Emeroteca – trascrizione dll’articolo Francesca Romana Stabile
“Il Messaggero”, 9 gennaio 1911, prima pagina
È morto Pietro Gori
La triste novella
PORTOFERRAIO, 8. – (Nostro telegr.)
Stamane, alle 6.30, dopo lunga, straziante agonia, è morto Pietro Gori.
La salma sarà trasportata domani a Rosignano Marittimo.
Da vari anni la forte fibra di Pietro Gori aveva ceduto alle sofferenze e alle persecuzioni: il lungo esilio e le ripetute prigionie avevano minato il suo vigoroso organismo, cui non giovarono le ultime risorse della scienza, né le affettuose, costanti cure della sorella Bice.
Da Rosignano Marittimo, ove Pietro Gori combatteva disperatamente contro i progressi del terribile male, era stato trasportato, in questi ultimi mesi, a Portoferraio nella speranza che la mitezza del clima avesse potuto prolungare l’esistenza del povero infermo. Ma, nello scorso mese, un nuovo aggravamento mise in imminente pericolo la vita del poeta, che si è spento ieri mattina dopo atroci sofferenze.
I compagni di fede, gli amici e gli ammiratori di Pietro Gori converranno oggi numerosi al trasporto funebre, per rendere l’ultima attestato di affetto all’apostolo dell’ideale anarchico.
L’apostolo
Non è necessario di partecipare alle idee che per Pietro Gori furono programma, missione e vita per dire che è scomparsa una figura immacolata, una delle figure più nobili del nostro tempo e della nostra stirpe: una figura tanto più preziosa quanto più raramente avviene d’incontrarne oggi che i caratteri segnati a dito come più adamantini finiscono prima o poi col flettersi, coll’accomodarsi, se non col deformarsi sotto la spaventevole pressione di questa nostra moderna società.
Ma perché Pietro Gori ebbe un’anima candida, dritta, emanante tutti i profumi della bontà e della vita, un’anima come un giglio, e in così soave incorruttibile bontà ebbe pure l’indomita energia di un leone? Perché egli fu poeta, fu anzi tutto e soprattutto poeta.
E quest’ora di lutto è ancora una volta l’ora della poesia, l’ora che riporta in alto, più in alto delle nuvole, in alto come l’infinito azzurro, la purezza e la gloria della poesia, l’eternità dell’ideale, l’incoercibile ed indistruttibile delle migliori aspirazioni umane, ciò che noi, proni sulla terra e sulle quotidiane miserie bestemmiamo quotidianamente, tutti, giovani e vecchi, colti ed incolti, felici ed infelici, mentre in verità c’è un fiore solo che valga tutta l’aspra fatica con cui coltiviamo dalla nascita alla morte una quantità di erbe inutili o malefiche, e quel fiore è l’ideale, è la bontà, è l’amore del prossimo nostro, è lo spirito di abnegazione, è l’aspirazione ad un avvenire, sia pur lontano, in cui non esisteranno più ingiustizie del mondo. Ideale puro, in alto, per ciascuno di noi, ideale irriferibile di speranza e di fede, di sogni e misteri: ideale realizzato, appena volgiamo gli occhi attorno, realizzato nella dolcezza di amare, realizzato nella dolcezza di amare i nostri simili e di dare per essi la vita.
Ebbene, sì, questo fu l’ideale di Gesù nel tempo dei tempi – e Gesù morì crocefisso: questo fu ieri l’ideale di Tolstoi – e Tolstoi è morto perseguitato e fuggitivo: questo fu l’ideale di quell’Eliseo Rèclus, che tutti onorano come scienziato, ma pochi ricordano come apostolo: questo è stato l’ideale dell’indomabile Pietro Kroptkine, del mite e miserrimo apostolo rosso Amilcare Cipriani: e questo è stato l’ideale, è stata la vita dell’ebreo errante della redenzione umana, di Pietro Gori – che è morto vittima della sua bontà e dell’odio altrui; è morto tisico, in ancora giovane età, in una cameretta solitaria, in presenza del mare che fu tante volte il grande e tempestoso ospite suo, il suo ospite più umano; e forse più degno.
Così ad ogni nuovo sepolcro che si apre per accogliere la salma distrutta di uno di questi martiri, noi dobbiamo tornare a constatare – e con noi anche gli uomini più duri – che la società, non molto dissimile oggi in tanta luce di civiltà da quella che fu ieri – perseguita con eguale cieco accanimento quelli che sono ai due estremi su la scala del bene e del male, i sovranamente buoni, i veramente buoni, senza secondo fine e senza misura e gli irriducibilmente perversi senza speranza di ravvedimento.
Ed ad ogni martire che scompare la società infatti ammutolisce, non osando tessere, almeno, per lungo tempo, le lodi dell’estinto e non avendo più il coraggio di affrontare col suo cipiglio spietato la situazione cambiata improvvisamente dalla morte.
X
Pietro Gori nacque a Messina, ove si trovava la famiglia, il padre di Pietro essendo colà come ufficiale dell’esercito.
L’origine però della famiglia dei Gori viene dai colli selvaggi di Rosignano in provincia di Pisa, dove essi ebbero ed hanno tuttavia qualche modesta proprietà.
Il padre di Pietro Gori, un valoroso, si ritirò dalle file dell’esercito col grado di colonnello, ed è morto da pochi anni.
Restava al nobile scomparso oggi la madre che fu da lui adorata come una santa, verso la quale profuse tutta la piena dei suoi affetti delicati ed ardenti, ed una sorella, Bice.
Ma anche la madre ha preceduto da un anno nella tomba il caro estinto, che dal dolore di così grave perdita, fu precipitato verso la fine. Così gli ultimi giorni di Pietro, giorni di solitudine e raccoglimento, di sofferenza e sogno, non furono sostenuti che dalla sorella Bice, una soave creatura bianca come un edelweiss, piena di una angoscia muta nel dolce volto spirituale.
Sorpassando qui su tutte le amarezze della prigionia e dell’esilio, su tutte le crudeltà subìte, su la tenace opera di propaganda fatta nei due mondi, su la vasta e paziente opera di coltura, preferiamo di ricordare la sua opera che fu più luminosa e più sua, la sua opera di poeta consacrata specialmente nel libro Ideali e battaglie, il libro che canta le passioni dell’animo, le tristezze del carcere e dell’esilio, le lotte per l’irraggiungibile.
C’è in questo libro uno sprazzo delle anime sensitive di Shelley e di Leopardi, il ritmo elegiaco di Keats e di Byron, e talora il clangore epico di Hugo, di Chénier e di Whitman che forse è stato più di tutti gli altri somigliante ed affine allo spirito di Pietro Gori. L’uno e l’altro uomini di primitivo ardore lanciati in mezzo alla più serrata e più indifferentista modernità.
Poeta dell’Anarchia, egli si slanciò come un arcangelo con la spada sguainata e rutilante per recidere la testa al drago mostruoso e velenoso della società che si trasforma ma non si muta, e sognò di fondare la città del sole, la città pura in un perpetuo sorriso di tutto l’amore umano.
Ma i versi più belli e commoventi di Pietro Gori rimangono forse sempre quelli in cui egli si dibatte tra l’alto ed arduo dovere che si era imposto e l’amore figliale che gli faceva comprendere tutte le angosce materne pel figlio sperduto e lo risospingeva continuamente sul trepido cuore di lei.
Scriveva Pietro Gori dal carcere alla mamma, non forse con straordinaria finezza di forma, ma con sublime èmpito di vera poesia:
O Mamma, sai le strofe appassionate,
che il bel golfo sussurra al nostro ciel,
le ineffabili cantiche trillate
dal vento tra una fronda ed uno stel?
Sai l’eterno sospir de l’infinito
che ognuno sente e niun mai potrà dir?
Tale era il canto del mio cor rapito
de’ tuoi baci nel fervido desir.
Di dietro a l’inferriata altro ridea
salutante il superbo occhio del sol
e dal peto ove turbina l’idea
l’inno del core spiccò lieto il vol;
e, a te venendo, su l’immenso raggio,
per l’infinito oceano di splendor,
ti porta con i zeffiri del Maggio
l’augurio e il bacio d’un immenso amor.
Su! manette e gendarmi preparate,
ch’io non protesto e non m’adiro più:
eccolo il malfattor, via condannate …!
Mi basta, o Mamma, che m’assolva tu.
Sì, era questo il terribile malfattore che da una troppo onesta società è stato lentamente ucciso.
G. Diotallevi
La vita avventurosa
La prima giovinezza
Il futuro apostolo della idea anarchica compì i suoi studi classici ed universitari a Livorno e Pisa tra l’affetto dei maestri, da Giuseppe Chiarini nel liceo a Francesco Carrara nell’ateneo pisano. Ma in quegli anni dell’alba del socialismo in Italia, mentre Cafiero, Bakunin e Costa facevano balenare alle menti delle masse il grande sogno della Internazionale operaia, Pietro Gori, giovinetto ancora, tratto dal bagliore di quella fede, ne diventò araldo e milite.
Nell’87 egli ebbe il primo processo politico alle Assise di Pisa per un opuscolo «Pensieri ribelli» riassumente le sue conferenze giovanili. I giurati dopo le splendide difese di Ferri, Muratori e Pelosini, assolsero il giovane studente.
Da questo battesimo giudiziario le persecuzioni contro il Gori non si contano più. Malgrado però le persecuzioni, Gori si laureò in diritto, svolgendo una tesi coraggiosa: La miseria ed il delitto, che gli valse i pieni voti con plauso, per quanto l’ambiente fosse reazionario.
Le persecuzioni aumentano
Negli anni successivi subì ancora imprigionamenti per comizi e dimostrazioni, finchè il 1° maggio del 1890 fu arrestato con altri 27 fra studenti e operai, come capo e organizzatore dei grandi scioperi in Livorno, durante la celebrazione della prima solennità proletaria di tutto il mondo.
Il tribunale di Livorno lo condannava ad un anno di reclusione ed accessori, la Corte di cassazione in conformità del caso Costa, annullò per inesistenza di reato, quando il Gori aveva già espiata la maggior parte della pena.
Espiata la pena, Gori nel gennaio 1891 partecipò al congresso libertario di Capolago, dove insieme con Cipriani, Malatesta, Merlino ed altri si gettarono le basi di una nuova agitazione politica sociale più evoluta dei vecchi programmi dell’Internazionale.
A Milano
Resagli impossibile la vita in Livorno dalle persecuzioni poliziesche, il Gori andò a Milano e vi aprì uno studio di avvocato con l’appoggio di Filippo Turati.
Attorno al Gori si raccolsero le falangi estreme del movimento operaio milanese, e per quattro anni egli fu il leader della corrente libertaria in tutti i comizi, nelle manifestazioni popolari della metropoli lombarda. Fondò L’Amico del Popolo, che in 27 numeri ebbe 27 sequestri! Per cui ebbe a subire numerosi processi per reato di stampa; e processi ed arresti sempre per ragioni politiche gli fioccarono addosso con un complesso di parecchi mesi di carcere preventivo.
La produzione letteraria
Pietro Gori, anima ardente e fibra di lottatore, svolse un agile ed alacre lavoro letterario e professionale mentre battagliava sincero e audace come un cavaliere antico nelle lotte politiche.
Egli pubblicò in quel tempo tre volumi di versi: Prigioni e Battaglie, le cui novemila copie si esaurirono in pochi mesi, e pubblicò inoltre una decina di opuscoli di propaganda e di polemica; i primi della innumerevole serie uscita più tardi dalla sua penna negli anni d’esilio.
Fece poi rappresentare Senza Patria, Proximus tuus ed altri lavori drammatici, che ebbero quasi tutti successo. I Gori devono essere nati per l’arte fervida del teatro, poiché pure il cugino di Pietro era un cultore appassionato dell’arte teatrale.
Come avvocato Pietro Gori si produsse in cause rimaste celebri, come quella dell’assassinio Carcano alle Assise di Milano, e Mondani alle Assise di Bologna, ed altre importantissime. Non si contano poi le cause politiche, molte delle quali clamorose, che lo trabalzarono da un capo all’altro d’Italia dal ’91 al ’94.
La reazione
Ma venne l’ora cieca e malvagia della reazione ad oltranza.
Si accusava Pietro Gori nientemeno che di complicità morale con Sante Caserio, l’uccisore di Sadi-Carnot, non potendolo accusare di complicità materiale quell’uomo che non avrebbe esploso un fucile da caccia contro un’allodola.
Tutto ciò perché il Gori aveva difeso il Caserio qualche anno avanti al tribunale di Milano, e perché non volle rivelare il nome di colui a cui il presidenticida aveva inviato lettere preludenti all’attentato: lettere dal Gori confidate all’amico suo Guglielmo Ferrero per quei suoi mirabili articoli su Figaro, da cui emergeva che solo le persecuzioni poliziesche erano state la spinta a quell’atto.
Oggi che Guglielmo Ferrero è salito in tanta autorità potrà ben scrivere una delle sue pagine più belle in memoria dell’estinto amico.
Nacquero da questa campagna vigliacca della stampa reazionaria innumerevoli ingiustizie e crudeltà a carico di Pietro Gori, la leggenda del carattere sanguinario, l’espulsione dalla Francia, la via del Calvario pel povero dolce estinto.
Ed egli si andò a ricoverare a Lugano, seguitovi dai genitori e dalla sorella, ed ivi riprese il suo lavoro di avvocato, mentre al piccolo châlet del viale Cattaneo, ove egli abitava, affluivano gli esuli politici rifugiatisi in Svizzera.
Allora cominciò una lotta atroce delle bande sguinzagliate dalla polizia politica internazionale contro il manipolo dei profughi che da Angiolo Cabrini a Guido Podrecca a Pietro Gori, pur facendo propaganda aperta e leale delle proprie idee, era riuscito ad attirarsi la simpatia e la stima della popolazione. Contro il Gori la campagna poliziesca giunse fino a degenerare in un tentativo di assassinio, perpetrato una sera da due sconosciuti a colpi di revolver mentre il Gori rincasava.
Ed infine egli fu espulso anche dalla Svizzera, il cane arrabbiato che non aveva più il diritto di vivere su la faccia della terra.
Prima di allontanarsi, stando in carcere, Pietro Gori aveva composto, per tutta vendetta, un commovente Addio a Lugano.
A Londra
Dopo una odissea per la Germania e il Belgio, Pietro Gori e gli italiani suoi compagni di esilio ripararono a Londra che era a quei giorni più che oggi il rifugio dei proscritti dalla reazione europea: e Pietro Gori non tardò a stringere cordiale amicizia col Kropotkine, Luisa Michel, Malato, Sebastian Faure, Rochefort, Stepniak; e partecipando insieme col Malatesta ed altri ai meetings ed alle agitazioni operaie, acquistò ben presto una notorietà non facile nella babilonia londinese. Ma nella primavera del 1895, stretto da necessità economiche, Pietro Gori partì per l’Olanda, ove fu ospite del grande agitatore Domela Niewenhuls.
Di là, dove non si riconosceva utile per l’ignoranza della lingua locale Pietro Gori s’imbarca e per campare la vita fece il marinaio finchè non giunse a toccare New-York, ove dagli amici fu spinto ad abbandonare la vita di bordo.
Negli Stati Uniti
Allora cominciò per lui una fatica immensa di conferenze, comizi, serate di arte sociale, attraverso il territorio degli Stati Uniti, che egli percorse in un anno senza un’ora di riposo tenendo perfino tre conferenze al giorno, da New York a Boston, e via per il Canada, e poi di nuovo a Buffalo, Chicago, Pittsburg, fino a S. Francisco di California e Los Angeles e verso il sud fra l’Arizona, San Luis, tornando verso l’est a Baltimora, Washington, Filadelfia, con un itinerario a zig-zag di undicimila miglia e con un bilancio di un 400 discorsi in italiano, francese e inglese in poco più di un anno.
Esaurito fisicamente partì nondimeno per Londra, col mandato delle Trade Unionions americane di rappresentarle nel grande Congresso internazionale operaio di Londra del 1896.
Ma, partecipato ai lavori del congresso colla consueta vivacità, fu per l’eccesso di lavoro colto da un esaurimento nervoso e da una nevrastenia allarmante; tanto che dopo un breve soggiorno al National Hospital, egli decise di ritornare in Italia, malgrado la condanna al domicilio coatto che ivi attendevalo.
Perché il terribile anarchico Pietro Gori – è dolce dirlo – amava teneramente la patria, e come si torna alla madre nell’ora dell’abbattimento egli voleva tornare in Italia.
Ma qui, dopo breve tempo, dovevano ricominciare intorno a lui le persecuzioni e le insidie. Egli fu vigilato speciale.
All’inaugurazione del monumento delle Cinque Giornate di Milano la folla, vistolo presente, chiese a gran voce che egli parlasse; e sul monumento della rivoluzione egli infranse – come ebbe a dire – le catene della libertà condizionale. Cotesto discorso alcuni mesi dopo fu il principale capo d’accusa contro di lui dinanzi alle Corti marziali di Milano durante lo stato d’assedio.
Ai tempi dello stato d’assedio di Milano, quando un proclama del generale Bava-Beccaris minacciava gravissime pene per assai meno di quanto si veniva imputando da anni al terribile Pietro Gori, egli riescì a fuggire truccato da straniero. Accompagnato dalla sorella, Pietro Gori riescì a viaggiare su lo stesso treno col duca di Genova. E in quella notte guadagnò la frontiera, rimanendo sempre incognito su la terra di Francia, non meno infida per lui, ed avviandosi di nuovo verso l’Oceano, verso l’ignoto, a Madera, a Santos, a Rio Janeiro, nel Brasile, e poi, a Buenos-Ayres.
Nell’America del Sud
A Buenos Ayres Pietro Gori ebbe accoglienze entusiastiche; inviti di tenere conferenze dal Circolo della Prensa alla Facoltà di Diritto; dai partiti operai alle associazioni scientifiche che lo posero subito a contatto con la multiforme vita del paese. Egli è già cittadino sul Plata come lo fu sull’Hudson. Fonda e dirige una grande rivista di criminalogia con la collaborazione dei più eminenti giuristi e scienziati sud-americani, nonché europei, come Lombroso, Ferri, Ferrero, Sighele, Ferriani, Lacassagna, Bournet ed altri.
Invitato dalla scolaresca e dai professori, detta un corso libero di sociologia criminale nella università di Buenos Ayres.
Esploratore
Per missione della Società scientifica argentina, insieme al pittore Angelo Tommasi, compiè quindi una lunga e pericolosa esplorazione per i mari e le terre dell’Estremo australe al di là della Terra del Fuoco, viaggiando su navi dello Stato, e raccogliendo un tesoro di fotografie e di rilievi importanti sulle razze selvagge della Patagonia e sui cannibali Fuegini.
Più tardi lungo i grandi fiumi Paranà e Alto Paranà compiè un’altra esplorazione accompagnato per una piccola parte del viaggio da Cesare Pascarella, fino alle terribili solitudini del Ciaco e dell’Iguasso fra i selvaggi e i briganti delle foreste vergini.
Il ritorno in Italia
Chiamato dalle lettere della madre infermiccia, Pietro Gori, profittando della amnistia, nei primi del 1902, ritorna in patria. E riprese da un capo all’altro d’Italia le conferenze politiche, alternate con quelli riassumenti le vive immagini dei suoi viaggi.
La sorveglianza eccezionale della polizia attorno al Gori fin dal suo sbarco a Genova, destò la nausea anche nei suoi più accaniti avversari, tanto che Giolitti di fronte agli attacchi di molti giornali ed anche minacce di interpellanze alla Camera fatta dagli on. Bovio e Pellegrini, dovè ritirare i suoi agenti dall’odioso pedinaggio.
Nuove peregrinazioni
La salute di Pietro Gori già minata probabilmente dal tarlo della tisi contratto in una vita così tempestosa e più probabilmente in qualcuna delle numerose carceri che lo ospitarono, ebbe un tracollo grave pel dolore che egli provò alla perdita della madre che adorava.
Invano egli intraprese due mesi dopo un viaggio di studi nell’Egitto e nella Palestina, perché la sua salute continuò sempre a peggiorare.
Ma anche nell’Oriente il Gori riportò una grande quantità di appunti grafici e fotografici che formarono il contenuto delle sue ultime e geniali conferenze.
La fine
Da allora fu un succedersi di lotte, di riprese, di ricadute, finchè egli non si rifugiò nella quiete della sua diletta isola d’Elba, dove per tre anni pareva rinfrancato. Ma una sua riapparizione fugace in Romagna, l’anno passato, per conferenze e comizi preparò forse l’ultima rovina.
Ed oggi quest’uomo che sembrerà presto essere stato non del nostro ma di altri tempi, ha chiuso gli occhi alla luce, ha trovato finalmente la sua pace.
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“IL MESSAGGERO” 22 gennaio 1911 - CRONACA DI ROMA
La commemorazione di Pietro Gori
Stamane all’Argentina
Stamane alle 9, ad iniziativa della Federazione socialista anarchica del Lazio, si terrà nel Teatro Argentina l’annunciata commemorazione di Pietro Gori.
Parleranno: per gli anarchici l’avv. Gaetano Di Basio; per i socialisti Franco Ciccotti; pei repubblicani l’avvocato Francesco Pagliaro, e per i sindacalisti il prof. Enrico Leone. Presiederà Giovanni Forbicini.
Il partito Mazziniano ha fatto per la ricorrenza un manifesto, ma la polizia non gliene ha permesso l’affissione.
FONTE: Roma, Archivio Storico Capitolino, Emeroteca – trascrizione dll’articolo Francesca Romana Stabile