Quando Noa, accompagnata dalla chitarra magica di Gil Dor, ha cominciato a cantare nell’ebraico dolce e aspro della Bibbia e dell’amore, la notte rumorosa di Marciana Marina è stata invasa dai gorgeggi celestiali di uno spiritello rosso, di un minuto usignolo mediorientale, incomprensibile per alcuni, miele sonoro per altri, pura meraviglia per chi, come me, di musica non ne sa niente ma che quando la vede e la sente capisce la bellezza fino a restarne folgorato.
E bellezza ieri notte sulla piazza di sassi davanti alla chiesa di Marciana Marina ce n’era tanta in quel duo che ha raccontato il mondo e la speranza di nonne yemenite, migranti ebrei, italiani, arabi, persecuzioni e lacrime… e di risate e sorrisi, e dell’amore e della pace che ancora non ha abbandonato i cuori degli israeliani e palestinesi che cercano nel Libro Sacro comune da cui vengono le nostre culture le parole di speranza, quel Dio misericordioso che ieri notte sembrava accanto a Noa, nella sua bocca che distillava Mediterraneo, deserti, “bastimenti per terre assai lontane”, quel Dio che era nelle sue mani veloci, armoniose, geniali che dai tamburi facevano rinascere i suoni che hanno cullato fin da Abramo la nostra origine comune che abbiamo ancora impressa negli occhi e nella pelle scura, nei capelli, nelle parole, nella musica. Suoni che erano nostri anche quando si incrociavano le spade e le scimitarre o quando un povero ebreo palestinese si dice sia stato messo in croce dai romani per insegnarci pietà, misericordia, fratellanza, perdono e amore.
Dispiace che Noa abbia dovuto chiedere a un chiassoso gruppo di commensali marinesi che hanno infastidito per tutto il concerto di smetterla almeno per permetterle di cantare senza il disturbo di inutili ciarle la canzone più sacra ai cattolici: l’Ave Maria, che è stata un commovente omaggio a tutte le donne che, nonostante tutto, custodiscono e allevano la pace, nel Medio Oriente martoriato dalle guerre, nei barconi che attraversano il Mediterraneo, nei nostri Paesi ricchi dove la pietà di Maria sembra essersi persa nell’egoismo e nella paura.
E alla fine il minuto usignolo rosso che cantava in ebraico è diventato un’immensa colomba bianca che è volata via nella notte su un sagrato di sassi ricoperto di applausi e commozione. Benedizione e balsamo per l’anima delle donne e degli uomini di buona volontà, anche per i miscredenti come me.
UM
Foto di Berta S. L.