Nel centesimo anniversario della fine vittoriosa della Grande Guerra, risorge alla memoria della storia il nome dimenticato di un eroico figlio dell’Elba caduto in battaglia a 20 anni e onorato con la medaglia d’argento al valor militare. Pietro D’Alfonso era nato a Marciana il 17 marzo 1897. Era figlio di Massimo, ufficiale della Marina arrivato dal continente con l’incarico di capo semaforista presso il semaforo di campo alle Serre sopra Chiessi che diventerà una importante postazione di avvistamento militare sul mare di fronte alla Corsica durante la seconda guerra mondiale.
Pietro era un giornalista e assieme a quelli di altri 82 colleghi il suo nome è immortalato in una lapide inaugurata da Mussolini il 24 maggio 1934 nel circolo della stampa di palazzo Marignoli a Roma. Successivamente scomparsa, è stata ritrovata nei magazzini Inpgi e collocata nella sede della Fondazione Murialdi sulla storia del giornalismo a un passo dalla breccia di Porta Pia. Su D’Alfonso e sugli altri “Martiri di carta” è stato pubblicato un libro curato da Pierluigi Roesler Franz ed Enrico Serventi Longhi.
Partito per il fronte, divenne sottotenente di complemento del 32simo reggimento artiglieria da campagna. Fu ferito mortalmente il 5 giugno 1917 durante il terribile contrattacco austriaco che inflisse una cocente sconfitta agli italiani. Al giovane venne conferita nel 1918 la medaglia d’argento: “In collegamento presso un comando di brigata, adempi’ l’opera sua con intelligenza ed efficacia, validamente coadiuvando il comando stesso durante l’azione. Spontaneamente si offerse a portare ordini, a radunare dispersi, riordinarli e condurli sulla linea del fuoco. Mirabilmente calmo e sereno in mezzo ai più gravi pericoli, colpito da uno shrapnel nemico, immolava la sua giovinezza alla Patria, nell’adempimento del proprio dovere. Flondar-Monfalcone, 4-5 giugno 1917”.
Prima della guerra, era stato redattore del giornale “Il Corriere di Livorno”. Era anche poeta e fondo’ una rivista letteraria “pugnace che fosse un’arma per la gioventù contro i conservatori dell’arte e ne cercasti il nome -ricordano i contemporanei- un nome augurale per un viaggio fortunoso: La Prora!”. La “Prora” divenne anche la testata della casa editrice che pubblicò il primo e ultimo libro di versi di Pietro “Primi albori”.
Romano Bartoloni