«Ma il nostro vero procacciante di reliquie era un elbano: non il cànchero di Portoferraio, non quello della colla e della stoppa: un elbano di Marciana Marina, che si chiamava Vittorio, un compagno affettuoso e imaginoso, pieno di gentilezza servizievole […]. Ci ritiravamo in tre dentro il vano d’una finestra a favoleggiare dell’eroe, come tre pescatori di tonni nel golfo di Procchio dopo la dipartita di febbraio. […] In seguito, covata dal nostro desiderio imperioso, la sua fantasia cominciò a scaldarsi e a svilupparsi. “Ma di Madama Letizia che sai? Che sai di Paolina? Che sai della Walewska? Nell’agosto del 1814 Napoleone era all’eremo della Madonna di Marciana, era nella tua Marciana, era al fresco dei tuoi castagni! […] Ah, la Walewska, Maria Walewska! Eppure tu sai, eppure sei certo ch’ella sbarcò nel porto di Marciana, una notte di settembre, a visitare il relegato.” […] L’imperatore, per fuggire agli ardori della canicola, s’era rifugiato nell’eremo, all’ombra dei castagni secolari. Abitava in una cella, come un asceta, con la semplicità di un pastore del Cinto o del Padro; non aveva corte, non aveva cuochi né bottiglieri; scendeva ogni giorno a Marciana per pranzare con Madama e poi risaliva sul monte. Una sera di settembre l’amante misteriosa sbarcò nel porto. L’attendevano palafrenieri e famigli coi cavalli sellati. Ella montò a cavallo e spronò impaziente per la via sassosa. La luna splendeva sul golfo di Procchio e sul granito del Capanne. Ma dalla roccia Fetovaia sorgeva come un mostro una grande nuvola fosca. Già, a mezzo dell’erta, il plenilunio era ingoiato. Di subito scoppiava il nembo. Al lume dei lampi, sotto la foresta che si torceva e gemeva, l’amante s’incontrò col cavaliere ansioso.»