Mio nonno Fritz è stato trucidato ad Auschwitz il 10 aprile 1944. Solo dal 9 gennaio 2012 una “pietra di inciampo” lo ricorda nei marciapiedi di Roma da dove fu deportato.
La “damnatio memoriae” dell’Olocausto degli ebrei è durata 60 anni, dal 1945, scoperta di milioni di vittime nei campi di sterminio, fino al 24 gennaio 2005 quando l’Onu ha istituito la “Giornata della Memoria” rimuovendo ufficialmente oltre mezzo secolo di silenzio e di oblio sulle atrocità naziste. Perché solo adesso si è deciso di guardare indietro con altri occhi? Forse perché le nuove crociate antisemite turbano i sonni dei contemporanei?
Viltà e ipocrisia hanno accecato volutamente l’umanità, nascosto i sopravvissuti nelle retrovie della società e della storia. La censura e il black-out sulla Shoah e sulla emarginazione degli scampati vennero imposti dalla voglia di dimenticare il lato oscuro della immane tragedia, di seppellire i mostruosi fantasmi del passato, e soprattutto dall’accorato desiderio di ricominciare a vivere gettando alle spalle gli orrori e l’esperienza traumatica della guerra. E si girò la testa dall’altra parte per non urtare la suscettibilità della Germania di Bonn, per 40 anni bastione dell’Occidente contro l’impero sovietico e contro il comunismo. Preoccupazione comune delle classi dirigenti europee e degli stessi intellettuali è stata quella di parlare sottovoce dei drammi e delle colpe del passato, di metterci una pietra sopra.
Liliana Segre, 89 anni, neo senatrice a vita, segnata da Auschwitz, è stata una delle testimoni dimenticate della Shoah e che ha sofferto dell’incredulità della gente e di decenni “di indifferenza e di pesantissimo silenzio”. Chi la ripaga degli anni di delittuosa discriminazione? “Se questo è un uomo”, la testimonianza più sconvolgente sull’inferno dei lager, il libro più letto al mondo di Primo Levi, cominciato a scrivere ad Auschwitz a rischio della vita, ha dovuto attendere 20 anni per suscitare un qualche interesse degli editori e del pubblico. Il suo manoscritto fu sabotato perché “in quel tempo di aspro dopoguerra - commenta lo scrittore - la gente non aveva molto desiderio di ritornare con la memoria agli anni dolorosi appena terminati”. Ridotti a zombie dalle torture, dalla fame e dalle paure, i pochi sopravvissuti sono stati accolti a malincuore persino dai parenti, trattati come appestati, ghettizzati. Foto, filmati e documenti sul genocidio di massa e sulla sua pianificazione annichilirono il mondo e si avviò l’operazione rigetto con l’omertà dei governi che avevano altre gatte da pelare con la ricostruzione dalle macerie e con gli sforzi per il ritorno alla normalità.
L’indifferenza, il quieto vivere, la guerra fredda, l’incubo delle bombe atomiche hanno fatto abbassare la guardia, allentare la vigilanza contro i focolai del virus antisemita. Non averlo debellato o, almeno combattuto, quando i criminali nazifascisti erano ancora sotto processo e l’indignazione era ancora profonda, è stata una colpa storica. Il trascorrere del tempo può risanare le ferite, ma senza pentimento non si possono assolvere le cattive coscienze dei contemporanei dalla manomissione della memoria. Dice Furio Colombo promotore della legge italiana sulla “Giornata della memoria”: “L’Italia non ha mai fatto i conti con sé stessa, non ha avuto una sua Norimberga sulle proprie responsabilità”.
I rigurgiti dell’antisemitismo di questi ultimi anni in Europa, e non solo, sono stato un brusco risveglio tanto che la memoria è cominciata a tornare e anche le sonnacchiose e tremebonde istituzioni hanno lanciato l’allarme, rimettendo in moto l’attenzione generale. Tanti i segnali preoccupanti che non possono essere sottovalutati al punto che tra gli ebrei francesi c’è stato un nuovo esodo, mentre da noi sono raddoppiati i controlli sul territorio a cominciare dagli stadi. Il capo dello Stato Mattarella ha dato l’altola’, denunciando “l’aumento in Italia e nel mondo degli atti di antisemitismo”, e sollecitando tutti a “combattere senza remore ogni focolaio di razzismo, di negazionismi, ovunque esso si annidi” e a “rifiutare l’indifferenza, un male tra i peggiori”.
A forza di nascondere la polvere della storia sotto il tappeto della menzogna, di diffondere clamorosi falsi della propaganda di odio antiebraico, quali il famoso “Protocolli dei savi anziani di Sion”, si è rafforzata la suggestione al negazionismo degenerata nella intolleranza. Nel cuore della civiltà europea, vengono assaltati scuole ebraiche, cimiteri, sinagoghe, supermercati kosher, quartieri popolati dai “maiali ebrei”. La Polonia mal sopporta i pellegrinaggi soprattutto dei giovani ai lager costruiti dai tedeschi nel suo territorio, e respinge a muso duro le accuse di corresponsabilità e di coinvolgimento persino con legge intimidatoria, finendo per soffiare sul fuoco delle rabbiose contestazioni degli estremisti di destra alle cerimonie di Auschwitz per la Giornata della memoria. Sono gesti e atti che turbano l’opinione pubblica, ma non frenano i viaggi della rimembranza accompagnati e illustrati dai sopravvissuti allo sterminio, con le energie della vecchiaia ricaricate dagli entusiasmi mobilitati intorno alle loro tragiche esperienze.
Alle generazioni dei millennial, dei social, della rivoluzione digitale è offerto il passaggio di testimone della memoria dell’Olocausto, un’occasione che, diversamente da un vergognoso passato, può garantire un futuro di rispetto e di solidarietà con i valori e le tradizioni dell’ebraismo. Migliaia di studenti hanno toccato con mano la verità della storia direttamente sui posti dello sterminio, conservandone un’incancellabile memoria e acquistandone una consapevolezza da tramandare ai loro discendenti. Ai loro padri, viceversa, è stato negato dai burattinai di un periodo di transizione il sacrosanto diritto alla conoscenza, il diritto ad essere compiutamente informati sulle vergogne di un’epoca. A noi nonni è spettata in eredità dalla guerra la traversata nella farsa dei misteri prima svelati e poi rinnegati. Nei primi anni post-bellici, ai più buoni e bravi tra noi scolari era consentito di partecipare all’omaggio ai martiri delle Fosse Ardeatine presso il costruendo Mausoleo. Poi a partire dagli anni Cinquanta è calata la tela dei silenzi e della archiviazione delle cronache della Shoah. Fino agli Novanta inoltrati nessuno è più andato a commemorare l’anniversario del 24 marzo, neppure i Sindaci o loro rappresentanti.
Romano Bartoloni