16. Da Zitto e nuota! - Manovre d'attracco (parte 2)
Adesso rimaneva il problema di tornare indietro, dato che eravamo con la prua a terra, e nel punto sbagliato. Confesso che io, in quella situazione, non avrei saputo uscirne: probabilmente avrei abbandonato la barca alla deriva, emigrando poi nel Sud America.
Pieraugusto aprì la borsa degli attrezzi e prese un martello e uno scalpello e si avventò contro il motore. Pensai che, in un impeto di rabbia, volesse distruggerlo: Maurizio invece mi spiegò che aveva preso un cacciavite e una chiave inglese (e non un martello e uno scalpello come avevo creduto io), con l'intento di far funzionare la marcia indietro.
Non so come fece, ma ci riuscì. Credo che gliene avesse cantate quattro al motore, perché quando era giù lo sentivo sbraitare contro di lui: non capii tutto quello che gli diceva, colsi solo qualche parola come «ingrato », «deficiente», « autostrada» e «biciclette».
Fatto sta che la marcia indietro adesso funzionava, ma con un inconveniente: si poteva manovrare solo da dentro il vano motore, usando una chiave e una pinza. Perciò la situazione sarebbe stata questa, d'ora in poi: Pieraugusto sarebbe stato riverso a testa in giù « dentro» il motore (non proprio dentro i pistoni, ma comunque molto vicino), e Maurizio gli avrebbe gridato se voleva la marcia avanti o quella indietro. Io e le donne avevamo lo stesso compito dei primi due tentativi di attracco.
Come Dio volle, ci allontanammo e uscimmo dal porto per ripresentarci poi, per la terza volta, già indirizzati verso la strada giusta. Quando comparimmo, un'ovazione gioiosa si levò dalla folla che aspettava ansiosa il nostro ritorno.
Eravamo tutti pronti, questa volta, ma a me scappava la pipì. Penso fosse la tensione nervosa, perché non ero tipo da avere questi bisogni improvvisi. Era un bisogno violento, categorico, impellente. Valutai la situazione, e decisi che avevo tutto il tempo sufficiente per recarmi in bagno prima che fosse il momento di mollare l'ancora. Intanto Maurizio aveva gridato a Pieraugusto di mettere la marcia indietro, per rallentare la corsa. Lasciai la mia posizio¬ne, di corsa, tra lo stupore di Maurizio, che non capiva cosa mi fosse passato per la testa, e il terrore di Pieraugusto, quando, riverso nel vano motore, mi vide passare davanti a lui e allontanarmi verso il bagno.
Andare in bagno sul Cavodurno non era un'operazione tanto semplice, neppure per una piccola necessità come quella: innanzi tutto occorreva arrampicarsi su un enorme piedistallo sul quale stava appoggiato il vaso. Il piedistallo rappresentava il serbatoio di raccolta, la fossa biologica per così dire, che doveva essere svuotata ogni volta girando una manopola e pigiando un interruttore. Salire sul piedistallo significava anche prendere una zuccata nelle longherine che vi stavano sopra. Di lato, sopra il vaso, era posto il serbatoio dell'acqua di mare, che si doveva riempire «prima» girando una saracinesca che metteva in moto l'autoclave, e si doveva svuotare «dopo» girando un'altra saracinesca che portava l'acqua al vaso. Non era molto semplice ricordarsi e coordinare tutti i movimenti, perché avevano tutti un ordine preciso, cronologico: così era inutile aprire l'acqua per il vaso (tirare lo sciacquone, in altre parole) se prima non si era aperta la saracinesca per riempire d'acqua il serbatoio; era parimenti inutile inoltre farlo, se prima non si provvedeva a svuotare il serbatoio inferiore perché, se era pieno, l'acqua dello sciacquone non poteva scendere. Insomma ci voleva una certa abilità, sul Cavodurno, per fare ciò che altrove poteva essere fatto con abituale naturalezza. C'erano ancora molte altre cose da fare, inoltre, prima di essere pronti, ma non mi sembra il caso di entrare in ulteriori particolari, dato il genere dell'argomento in questione. Mentre ero impegnato ad aprire e chiudere leve e rubinetti, sentii dall'oblò un urlo che mi fece accapponare la pelle. Questa volta veniva da Maurizio:
«Molla l'ancoraaa!! »
Mi precipitai fuori prima che potei, battendo testate dovunque. Quando passai davanti a Pieraugusto, notai che aveva sempre la stessa espressione terrorizzata e sbalordita, ma non saprei dire se era la stessa di prima o se ne aveva sfoderata una nuova al mio passaggio.
Mentre con lo sguardo cercavo la spranga di ferro, con la mano sinistra tastai il verricello per individuarne la tacca anteriore, dove avrei dovuto battere il colpo. La mano sinistra individuò la tacca anteriore e lanciò il messaggio al cervello che istantaneamente lo passò alla mano destra, che partì con la spranga ben salda. Questo, all'incirca, il percorso delle sensazioni tattili. La rapidità di trasmissione del messaggio e la sua esecuzione ebbe del miracoloso. Ci fu un solo problema, legato al carattere indolen¬te e pigro della mia mano sinistra. Io mi vanto di avere una rapidità di riflessi eccezionale. Con la mano destra. La sinistra, invece, è di una lentezza esasperante: sembra che sia la mano di un'altra persona tanto è pelandrona e fiacca. Se devo battere le mani per applaudire qualcuno, ho notato che è la destra che fa tutto il percorso, da una parte all'altra, mentre la sinistra sta ferma ad aspettare che l'altra vi batta contro.
Per questo motivo, quando la destra, conscia dell'importanza di recuperare il tempo perduto per la sosta al bagno, giunse con forza sul verricello armata di spranga, la sinistra era sempre là, pigramente appoggiata sulla tacca.
La spranga di ferro brutalizzò l'indice della mia mano sinistra che, per quanto antipatica, è pur sempre mia. Mollai spranga e verricello, con un urlo lungo e modulato, e iniziai sul posto una danza saltellante. Il risultato, nei riguardi della barca, fu che l'ancora non cadde a mare e ci salvammo da uno scontro solo perché Maurizio urlò a Pieraugusto un «indietro forza tutta» che fu messo in opera con rapidità ed efficacia.
Naturalmente, questa volta per colpa mia, dovevamo ricominciare daccapo la manovra.
La quarta volta non successe alcun imprevisto e, tra gli applausi del pubblico, toccammo terra a Capraia.
Gianfranco Panvini