20. Da Zitto e nuota! - La muta subacquea (parte 3)
La seconda volta che misi la muta mi preoccupai prima di infarinarmi ben bene, a larghe manate, con l'enorme scatola di talco che mi aveva venduto il famigerato commesso.
Misi anche, a solida difesa dei miei territori, passamontagna e guanti. Una grossa folla di spettatori aveva assistito in religioso silenzio a quella vestizione, affascinata dalla complessità dell'operazione. Quella seconda volta rischiai veramente l'annegamento, perché il cappuccio era largo e ruotava intorno al mio collo tentando di strangolarmi. Inoltre c'erano tutti i problemi della volta precedente, compresa l'acqua che entrava dai miei confini esterni e faceva internamente una ripugnante pastetta con i chilogrammi di talco che mi ero gettato addosso. Riuscii a stare in acqua solo tre minuti, cronometrati con precisione dal grosso orologio-cronometro subacqueo.
Anche quello «svestimento» (con l'aiuto di tre persone che si impegnarono a fondo) rischiò di soffocarmi e mi produsse abrasioni varie.
Mentre ricordavo sorridendo tutto questo, mi ero infarinato, là sul porticciolo di Capraia, con ampie manate di talco appallottolato dall'umidità accumulata nei lunghi anni di permanenza in cantina assieme alla muta. Mi misi a gonfiare il palloncino con il gonfiatoio a pedale, ma la membrana mobile era rimasta per anni attaccata al soffietto di gomma ed evidentemente ci si era affezionata perché non volle saperne di abbandonarlo e fare il suo dovere di membrana degna di questo nome. Così non mi rimase altra alternativa che soffiare dentro il palloncino con la bocca. Partii spedito con quanto fiato avevo nei polmoni, ma mi dovetti fermare alla quarta soffiata perché mi prese un capogiro. Dopo un adeguato riposo ricominciai a soffiarci dentro, ma dopo tre insufflazioni i miei polmoni si rifiutarono di proseguire e cominciava ad annebbiarmisi la vista. Guardai il palloncino: era ancora floscio e sgonfio come se non ci fosse entrato un filo d'aria: in compenso io avevo l'affanno ed ero tutto sudato. Alzai gli occhi e vidi che molti sfaccendati si erano disposti in bell'ordine, in tre file, per godersi lo spettacolo. Guardai il mio corpo: in quegli anni mi ero certamente dato da fare, accumulando chilogrammi di grasso ovunque fosse stato possibile. Guardai la caterva delle cianfrusaglie stese per terra davanti a me; infine posai lo sguardo sulla folla degli spettatori attenti e quasi supplichevoli.
Con una saggezza che ritenni oltremodo ammirevole, mi tuffai in acqua per levarmi di dosso il talco appallottolato e mestamente cominciai a rimettere tutto nelle borse, con grande delusione dei miei spettatori che si allontanarono brontolando e recriminando per la perdita del sollazzo che avevo fatto loro intravedere e del quale li avevo defraudati all'ultimo momento.
Gianfranco Panvini