Sono nato e vissuto sino al momento del mio pensionamento a Livorno. Città nata con la medesima coscienza libertaria e illuminata di Portoferraio, famose le sue leggi Livornine emanate nel 1591 dal granduca di Toscana Ferdinando I dé Medici, con cui si agevolavano le persone a stabilirsi in città, ed ampliate nel 1593 indirizzandole verso la “popolazione ebraica ed ai mercanti di qualsivoglia nazione” garantendo loro libertà di culto e di poter espletare qualsiasi mestiere. Questo portò molti ebrei a fissare la loro dimora definitiva a Livorno, ed insieme al commercio sviluppato con l’attività portuale portarono anche la loro profonda cultura.
Livorno è sempre stata libertaria e con un’anima profondamente sociale ed accogliente, vi nacque il partito comunista italiano, e quando in Italia si instaurò il fascismo molti livornesi si rifiutarono di indossare l’orrenda camicia nera. Tra questi ci fu un personaggio particolare, lui sempre vestiva di nero, ma per ben altri motivi. Era Don Roberto Angeli ed indossava la lunga tonaca allacciata da tanti bottoncini. Figlio di un uomo che poi divenne grande partigiano chiamato Il Nonnino, anche don Roberto partecipò alla Resistenza. Ma non si accontentò di prendere in prima persona posizioni antifasciste, stimolò i suoi parrocchiani a fare altrettanto e costituì gruppi resistenti in città. Fu arrestato il 24 maggio del 1944 e condotto a Firenze a Villa Trieste poi ribattezzata Villa Triste per le ignobili torture e vessazioni cui erano sottoposti i prigionieri, ma nonostante tutto ciò la Gestapo non riuscì ad ottenere informazioni da don Roberto e dagli altri. Furono condotti poi a Fossoli e poi a Mauthausen.
L’Unione delle Comunità israelitiche italiane lo onorarono del Diploma di Riconoscenza” per ciò che aveva fatto per salvare molti cittadini ebrei.
Quando i sopravvissuti dai campi di sterminio e di detenzione rientrarono in Italia don Roberto era tra loro, riprese il suo posto di parroco a Livorno, ed è lì che nei primi anni ‘60 l’ho conosciuto alla Casa dei Ragazzi che aveva fondato, dove trovavano alloggio ragazzi di ogni età senza famiglia o comunque figli di persone con gravi problemi economici, c’era anche un bimbo elbano del quale però non mi ricordo il nome. Don Roberto, oltre a fare il prete, a soccorrere i bisognosi, trovava il tempo di scrivere su giornali.
Oggi che è il 25 aprile voglio farvi conoscere il pensiero di Don Roberto tramite un estratto di ciò che scriveva. Questo articolo fu pubblicato dal Corriere della Valtellina nell’aprile del 1961 e da La Voce di Livorno, dal Servizio informazioni Stampa di Roma e da altri settimanali.
“E’ in errore chi considera il 25 aprile semplicemente una festa “patriottica”. Il tempo trascorso dalla fine della guerra ci consente ormai di constatare che questa data, pur celebrando la liberazione d’Italia dall’occupazione tedesca, non si limita a questo ricordo, ma assume un significato molto più ampio…..
Il 25 aprile non esaurisce il suo significato nel ricordo del successo militare ottenuto con l’insurrezione partigiana di 16 anni orsono, ma lo estende alla celebrazione della Resistenza, di un fenomeno cioè non semplicemente italiano ma europeo e non tanto militare ma soprattutto politico e morale. In questo centenario della nostra unità nazionale molti parleranno come di “un secondo Risorgimento”. Tra i due movimenti si possono facilmente istituire interessanti parallelismi. Così la partecipazione di formazioni popolari e volontarie dette vita nel secolo scorso all’epopea garibaldina e –ai nostri giorni – ha prodotto il fenomeno non meno glorioso e certamente più vasto della guerra partigiana; così purtroppo si è ripetuta la dolorosa vicenda che ha visto italiani contro italiani. E ora come e più di allora, forche e torture, carceri e fucilazioni, martirii ed eroismi senza pari. Si può dunque dire che la guerra di liberazione è stata come il nostro secondo Risorgimento, ma non basta……
Non è sufficiente il comune nemico –la Germania- per spiegare l’ampiezza, la forma e le comuni idealità dei movimenti clandestini in ogni paese d’Europa. L’unica spiegazione sufficiente, l’unica interpretazione possibile dell’originalissimo fenomeno della Resistenza, in cui i popoli europei, spontaneamente, ritrovarono l’antica unità ideale, si trova in ciò che ora il processo Eichmann sta mettendo in luce…..ripropone e riprova che la Resistenza non fu una battaglia per la grandezza della patria, ma per la salvezza dei supremi valori della vita. Nel clima del processo di Gerusalemme noi possiamo ritrovare il vero significato del 25 aprile, e celebrarlo più degnamente. A questa ricorrenza non si addicono fanfare, ma piuttosto intima gioia e grato ammirato ricordo per dei caduti ed anche un esame di coscienza. Per abbandonare certe comode “neutralità”, e rivedere certi facili giudizi, e riconoscere le responsabilità che crea l’amore del quieto vivere. Per vedere se nelle vene della nostra società-nonostante tanti martiri- non sia rimasta qualche traccia di quel veleno che – esasperato e concentrato – si annidò anni indietro nel cervello e nel cuore di un grande popolo europeo e lo portò alla pazzia criminale”.
Concludo con una riflessione personale. Auguro a tutti, in vista delle prossime elezioni europee, che questo esame di coscienza ci porti a riconoscere il veleno di cui don Roberto parla nelle ultime righe.
Roberto Borra