Capo Bianco ha costituito fonte di conoscenza per la scienza geologica.
Un ottimo studio di Dini et al. è comparso pubblicato nel 2007 dalla Geological Society di Londra
https://sp.lyellcollection.org/content/273/1/227.short .
Da pg 231 a pg 235 il protagonista è proprio lui:il promontorio di Capo Bianco.
L’aplite con le tormaline che costituiscono la sua roccia sono studiate,fotografate e commentate scientificamente anche con mappe per quanto riguarda la genesi: Capo Bianco aplite (8-8.5 Ma). In questo stesso studio, nella parte finale da pg 235 a pg 241, la geologia del promontorio si mescola con il mito degli Argonauti e di porto Argo narrato nel famoso brano da Apollonio Rodio delle Argonautiche. (libro IV , 654-658): i ciottoli “sporchi” dal sudore degli argonauti.
Sul mito di Porto Argo e la sua collocazione all’Elba, il sottoscritto, riprendendo quanto scritto nel 1958 dall’archeologo subacqueo Alessandro Pederzini in merito ad una città sommersa nei fondali della secca di Capo Bianco,si è soffermato parlando di “Scherzi della natura”
http://www.instoria.it/home/secca_capo_bianco.htm
La secca è continuazione sotto il mare del promontorio di Capo Bianco.
Quando il mare è calmo, Capo Bianco è luogo stupendo per farci il bagno per la trasparenza e il colore dei fondali che sono visibili ad occhio nudo ma diventa luogo pericoloso quando il vento di libeccio soffia: le onde si ingrossano per il basso fondale della secca, arrotolandosi e infrangendosi su stesse diventano
bianche e spumeggianti, un biancore che si confonde con quello delle vicine rocce di aplite.
La tragedia del naufragio incombe allora per i natanti che si trovano nella zona.
Questa tragedia è testimoniata dalle molte anfore che sono state ritrovate sul fondale marino quale segno
di tragici naufragi di antiche navi onerarie romane affondate nella zona (vedi gli archeologhi Monaco e Zecchini). La tragedia del naufragio è ricordata da documenti storici.
Scrive infatti nel 1594 lo storico Filippini nella “Historia di Corsica “Libro VIII dandone dettagliato resoconto (pg 323-324) che la flotta genovese di Gianandrea Doria lasciata Portoferraio per dirigersi in Corsica passa per le secche di Capo Bianco: una delle dodici galee che forma l’armata si rovescia e affonda portando a
morte tutti coloro che erano a bordo. Questo incidente accaduto il 5 febbraio 1556 è poi stato narrato anche da altri storici quali Giovacchino Cambiaggi,Giuseppe Ninci,Giovanni Paolo Limperani. Il disastro fece sorgere il toponimo di ‘Scogli della galera’ oggi scomparso.
Il promontorio è stato nell’agosto del 1553 luogo di battaglia contro i turchi della flotta di Solimano “Giovedi 17 agosto 1553 venne tutta l’armata che avea levato tutte le fanterie a la Follonica e si pose al Capo e l’Enfola e pose a terra assai fateria così turchi come cristiani. E il Sig. di Piombino dal Capo Bianco di
dentro, e il Sig Colonnello per via della porta messere fuora buon numero di soldati eletti a combattere con l’ordine solito. E come piacque a Dio, dè Turchi furono morti 13 e feriti malamente 20 perché le fanterie nostre non tiravano mai senza quadrelli e palletti e la nostra artiglieria faceva gran danno: né si accostaro più sì presso i Turchi a combattere,e sterono a la spiaggia di Campo a far bazzarro in fra loro” (“La guerra del 1552-56 in Maremma e nell'Elba contro i Turchi e i Francesi alleati” Marcello Squarcialupi).
La presenza della secca è stata segnalata ai naviganti sin da molti anni.
Nel 1938 scrive Sandro Foresi “La boa di capo Bianco –“segnalamento marittimo”- così chiamato nel linguaggio ufficiale è una cosa cilindrica sormontata da miraglio sferico.Fu attivata nel 1888 e modificata successivamente nel 1915 e nel 1921. Il suo compitoè quello di evitare, con la semplice presenza, che le navi
vadano ad infrangersi sull’ampia ed insidiosa secca di cui essa segna il limite estremo a sinistra uscendo eda a destra entrando. Questa secca fino al 1888, cioè fino alla istituzione della boa, fu addirittura un cimitero di navi. I vecchi ricordano ancora i numerosi e tragici naufragi che dettero luogo a superbi atti di valore (“Luci e bandiere nel cielo e nel mare dell’Elba”.Tipografia popolare.Portoferraio)
Oggi non esiste più alcun segnalamento marittimo.
Osservando il promontorio dalla spiaggia delle Ghiaie il colore bianco caratteristico cangia nel corso della giornata: al mattino ai primi raggi del sole il biancore è sfumato da un ocra diffuso, poi con il sole alto acquista il tipico bianco candido per sfumare sulla sera sul grigio.
Contrasta il verde della vegetazione che lo corona in alto dove il lentisco (Pistacia lentiscus) domina.
Ma lascia il posto, mano mano che la roccia di aplite compare, al fico degli ottentotti (Carpobrotus edulis): la pianta ritenuta alloctona si adagia quasi pigramente sulla aplite e copre i ruderi delle postazioni del secondo conflitto mondiale rimasti lì a perenne memoria dei bombardamenti. Con il verde delle foglie e il rosso dei fiori la pianta crea un contrasto cromatico unico nel biancore della aplite, specie verso la spiaggia di sottobomba. I tamerici(tamarix gallicus) invece prosperano lungo il margine interno dell’altra spiaggia delimitata dal promontorio, quella della Padulella.
Davanti a questi tamerici volano rasenti l’acqua i cormorani (Phalacrocorax carbo): talvolta nuotano e poi scompaiono andando a caccia di pesci sott’acqua.I gabbiani con la specie più frequente, quella reale (Larus michahellis) volano: rincorrendosi l’un l’altro spesso emettono lo stridìo chiamandosi.
Capo Bianco incanta coi suoi colori contrastanti: per questo è stato dipinto nei quadri di artisti come Telemaco Signorini. Le sue foto con gli scorci della roccia bianca che si tuffa in mare hanno fatto il giro del mondo contribuendo a promuovere turismo sull’Elba.
A me piace ricordarlo prima dell’avvento del turismo in una vecchia foto in bianco-nero dei primi anni del novecento (vedi)
Ero solito, da giovane, sulla punta estrema di Capo Bianco, quella che poi si immerge in mare continuando con la secca, andare a fare i tuffi dagli scogli. Ogni tuffo era seguito poi sempre da una nuotata nei meandri delle gallerie che perforano in quel punto la roccia di aplite.
Con Sergino mi immergevo a prendere le orecchiette sul fondale della secca.
Credo che una parte rilevante del promontorio sia oggi di proprietà essendo stata venduta dal demanio.
Una volta molte barche erano a polpare sulle secche e a totanare un po’ più a largo con la lucerna, durante
la notte. Piccole luci brulicanti nel fondo scuro della notte.
Marcello Camici