Il complesso collinare nord-orientale dell'isola si presenta come un lungo crinale di oltre dieci chilometri: un'aspra seghettatura tra i 300 e i 516 metri massimi di Cima del Monte, alternante fianchi boscosi ad ampie praterie, dirupi strapiombanti a dolci pendici. Pur essendo colline, a tratti, soprattutto nella parte meridionale, le balze rocciose danno un aspetto quasi montano a queste bellissime creste. Poiché su quasi tutto il crinale passa il sentiero più importante dell'isola, la Gte (Grande traversata elbana), oggi la nostra escursione virtuale ha il passo segnato.
Partiti da Cavo si sale subito sul massiccio monte Grosso, cupola rocciosa di appena 344 metri, ma che sembra davvero mastodontica, come indica il toponimo. Il modesto monte Peritondo è riportato da Remigio Sabbadini al latino “perrotondus”, ma non spiega il significato. È stata avanzata anche l'ipotesi che derivi dal nome longobardo Berimund. Ma non è da escludere che possa essere una corruzione di “poggio tondo”, ovviamente per la forma. Un poggio Peritondo esiste anche poco più a sud, sopra Ortano, ma ha tutt'altra origine: infatti in passato si trova anche coi nomi di Piè di Bondo o poggio del Gondo. Soprattutto Gondo è un nome abbastanza usuale nel Medievo: potrebbe trattarsi quindi di un antico possidente dell'altura.
Un terrazzo panoramico formidabile è il monte Serra: addirittura in giornate chiare, con un buon binocolo, si possono vedere le Alpi marittime. Fino all'Ottocento si trova come Serra alla Croce, e infatti era segnalata la presenza di una croce votiva sulla cima: quindi il colle (serra, nell'accezione comune elbana del passato) della croce.
Adesso abbandoniamo un momento la Gte per spostarci a est, sul complesso collinare ferrifero della miniera di Rio Albano. Qui si incontrano belle colline a tratti boscose, a tratti dai paesaggi lunari, tipici delle cave. Legato all'attività estrattiva e metallurgica medievale è il monte Magnani: i magnani erano infatti lavoratori e fabbri dei metalli, in passato evidentemente attivi in zona. Il monte Sassera deve il nome al suo aspetto roccioso. Il monte Calendozio è fatto risalire da Sabbadini ai “nomi romani Calenda Calendius Calendinus, che si ponevano ai nati nelle calende”, ma appare molto strano. Potrebbe essere composto da due termini, “calone” e “ongiu”, dato che in passato sembra citato anche nella forma Calendoggio. Il primo termine indicherebbe un vallone o una pendice; il secondo sta per “giù” nella parlata elbana: quindi grossomodo pendici precipiti.
Il monte Bicocco viene, a mio avviso, interpretato erroneamente con albicocco. È vero che bicocco è l'antico vernacolo elbano per questo albero da frutto, ma propenderei invece per interpretare “cocco” nel senso di cocchero, altro vernacolo isolano che sta per vetta. L'anfisso “bi” potrebbe essere riportato a “due”, forse perché prima degli scavi minerari il colle presentava una cima biforcuta; ma potrebbe essere anche una corruzione dell'articolo.
Tra le selve di lecci si trovano i monti Argentiera e Gorgoli, di quest'ultimo anche il fosso. È proprio da esso che va interpretato il toponimo: potrebbe derivare dal termine corso “ghèrgalu”, ovvero acqua mossa, quindi a indicare un fosso piuttosto irruente; ma potrebbe risalire anche al gorgoglio dell'acqua scorrente, o ancora dal latino “gurges”, ovvero semplicemente ruscello. Un fosso Gorgolinato è anche vicino Sant'Ilario. Il primo toponimo invece fa molto probabilmente riferimento al colore chiaro e brillante come l'argento dei calcari che lo formano.
Riprendiamo la Gte per affrontare il suo tratto più panoramico. Si sale ai 425 metri del monte Strega. Il nome potrebbe collegarsi a una diceria del passato legata al poggio, ma pure derivare da “strige”, ovvero uno degli uccelli rapaci notturno, che quassù nidificava. Superato monte Capannello, giungiamo alle Panche, che fanno riferimento alla formazione geologica stratiforme (una località con lo stesso nome è anche vicino Poggio).
Risalendo il crinale si giunge al panoramico poggio delle Pietre Tramontane, toponimo oggi purtroppo decaduto: è difficile dire se il termine “tramontane” stia per esposte a nord o “tra i monti”. Poco sopra i Sassi Tedeschi, che ricordano un sanguinoso scontro, nel corso dell'assedio di Longone del 1708, vividamente riportato da Giuseppe Ninci (“Storia dell'isola dell'Elba”, Portolongone, 1898, pag. 150).
Superata Cima del Monte, toponimo recentissimo, arriviamo al bel prato di Pian di Mondino, probabile diminutivo di Raimondo, un antico possidente o pastore della zona; e successivamente alla località col suggestivo nome di Aia della Cava dell'Oro. Ovviamente nella zona non ci sono tracce di oro, bensì presumibilmente di calcopirite, un minerale cuprifero. Resti di antiche escavazioni erano in effetti presenti nell'area, attinente a periodi in cui anche il rame era ricercato ed estratto sull'isola.
Il monte Castello si presenta con balze quasi alpine, che fanno sembrare il paesaggio qualcosa di estraneo a un'isola così piccola. In questo caso il toponimo è poco chiaro: l'altro monte Castello isolano, sopra Procchio, giustifica il suo toponimo con la passata esistenza di un villaggio fortificato etrusco, mentre qui non restano tracce di luoghi fortificati. Forse si trattava di una piccola postazione militare di vigilanza, tirata su a secco, e che quindi non avrebbe lasciato tracce.
Le colline del Buraccio (da borro, ovvero fosso) non lasciano oggi molte tracce toponomastiche, ma così non era fino a un recente passato. Nell'area infatti si trovano la Cimagrande e il poggio Marcianese, che forse ricorda l'attività di macerazione del lino e della canapa in zona, ma potrebbe anche stare per luogo seminato a grano marzolino. E ancora il Serron Bianco, per il colore delle rocce calcaree, e la Colonna, forse perché spiccava una cote alta e slanciata. Interessante il Generinco: Sabbadini ipotizza: “O del 'genere' cioè avito o di 'Agenore', nome personale frequente all'Elba.” Il suffisso “inco” è caratteristico nell'Elba occidentale per identificare l'abitante di un luogo (per esempio pomontinco o puginco); atipico invece sul versante orientale. Quindi in questo caso farebbe pensare più a un diminutivo corrotto. L'ipotesi che possa dunque derivare dal diminutivo Agenorino, inteso come antico proprietario della zona, è plausibile. Così come il poggio del Profazio: Sabbadini lo fa risalire il a un soprannome. Potrebbe anche essere un cognome. Altrimenti l'unica altra spiegazione è di un toponimo corrotto, forse di origine latina.
Andrea Galassi