Tradizionale punto di partenza della Grande traversata elbana è una delle località più piacevoli dell'Elba: Cavo. Oggi soffermiamoci su questo estremo dell'isola: il più a nord, il più vicino al continente.
Proprio a “capo” molto probabilmente va riferito il toponimo (che non appare molto antico, al più al Settecento), inteso come tutto il promontorio che culmina in capo Vita. In effetti l'accezione “cavo” per capo sembra in passato piuttosto comune nella parlata elbana. Remigio Sabbadini però propone anche una seconda spiegazione: cavo nel senso di incavato, quindi riferito al suo golfo. Invero questo appare poco riparato, anzi piuttosto esposto ai marosi.
Molto più antica è la nominazione della zona in San Bennato, attestata al Medioevo, dal nome della chiesa romanica oggi scomparsa, “distrutta per ricavarci quattro metri di vigna”, scrive sconsolato Sabbadini. Lo stesso autore segnala che ancora in una carta del 1723 la località è segnata come Porto di San Bennato. Non appare strano, dato che per un lungo arco di tempo (dall'epoca pisana al XVIII secolo almeno) l'edificio sacro dovette essere la presenza edilizia più significativa dell'area. In alcune carte è riportato anche il nome San Miniato, evidentemente perché Bennato non doveva dire niente ai cartografi, in quanto santo inesistente. In effetti è un nome corrotto, e la dedicazione originaria era a san Menna (corrottosi poi in Mennato e infine nell'attuale Bennato), un martire egiziano del III secolo. Il suo culto era molto sentito tra i bizantini, e questo ha fatto ipotizzare una loro fondazione (molto dubbia) della chiesa cavese, e quindi traccia di una loro dominazione sull'isola.
Gran parte della piana su cui oggi sorge il centro urbano si trova fino all'Ottocento col nome di Bolbaja, toponimo ancora vivo fino a non moltissimi anni fa, ma limitato al solo angolo nord della lunga spiaggia paesana. Sabbadini lo fa risalire a “bovilaria/bolivaria”, cioè recinti di buoi, ma appare molto improbabile. Più convincente l'ipotesi di Romualdo Cardarelli che la fa derivare da “polpaia”. Tuttavia non è da escludere che derivi da “bulbo”, inteso come quello delle alghe spiaggiate di Posidonia oceanica. Che peraltro danno sicuramente il nome alla piccola e carina cala dell'Alga, o in antico dell'Aliva, incuneata tra i capi Castello e Mattea.
Il promontorio che dà origine al toponimo è quello oggi conosciuto come capo Vita, estremità nord dell'isola. Si trova anche nelle forme Vite e Viti, ma con la vigna non ha niente a che fare. Infatti il toponimo è attestato già nel Medioevo come Caput Vie, cioè capo delle vie, intese evidentemente come rotte marittime, forse perché era preso come punto di riferimento nei passaggi dal canale di Piombino.
Le altre punte che caratterizzano la località presentano nomi interessanti. Capo Castello, su cui sorgono i resti di una villa romana, e successivamente di una batteria militare costiera, che spiega il toponimo, ancora presente agli inizi del Novecento. Su Capo Mattea, poche decine di metri più a sud, su cui erano attestati resti anch'essi romani (forse la pars rustica della suddetta villa), c'è da rompersi la testa: potrebbe far riferimento al nome di un antico possidente (Matteo); oppure derivare da “matta”, ovvero stuoia, forse perché su questa punta si trovava un fitto canneto; o ancora dal latino “mattea”, ovvero mazza, facendo forse riferimento a un'attività metallurgica romana nella zona. Ancora più a sud troviamo la punta delle Paffe, un vernacolo elbano che indica grossi massi. In antiche mappe si trova con il nome di punta del Castelluccio, probabilmente da mettere in relazione con l'opposto capo Castello. E all'aspetto sassoso potrebbe riferirsi anche il capo del Petriolo, toponimo oggi decaduto, sulla costa opposta.
La piana di Cavo è formata da diversi fossi. Quello più a nord era conosciuto come Acqua Moresca, e Sabbadini lo riferisce alle passate incursioni turchesche. Ma forse “moresca” va inteso come colore scuro dell'acqua, in quanto fangosa. Il fosso dei Chiassi, prende molto probabilmente il nome dai viottoli dei terrazzamenti e gli orti che solcavano la piccola valle. Chiasso è un antico termine che indica i vicoli, ancora vivo a Capoliveri, ma che in passato doveva essere comune a tutti i paesi collinari elbani. Il fosso Baccetti, che forma una bellissima vallata, è un toponimo piuttosto recente e indica chiaramente il cognome di un possidente della zona, tanto che nella mappa catastale ottocentesca è ancora riportato il magazzino di questo proprietario. Poco più a monte si trova il fosso del Melo, albero da frutto atipico per l'isola, ma forse proprio perché presenza tanto strana, da caratterizzare la valle.
Sovrastano il paese i colli Belvedere, Serrone e Lentisco, dai nomi chiarissimi. Più o meno chiaro, perché un po' decaduto nella parlata elbana, è Mortella, ovvero il mirto (Myrtus communis), pianta comunissima della macchia mediterranea. Ma anche il monte Malpertuso e il misterioso Gessemi. Il primo fa molto probabilmente riferimento a un'orrida cavità della zona, fenditure peraltro tipiche del calcare alberese di questo versante dell'isola. Il secondo viene fatto risalire da Sabbadini al biblico Getsemani, ma appare improbabile; potrebbe essersi fortemente corrotto con il tempo. Poco sotto monte Grosso si trovano Meta e il decaduto Metone, forse dalla cuspide piramidale che caratterizza la forma dei colli, oppure derivanti da un termine corso, col significato di ammasso di sassi.
Sabbadini segnala altre due alture, di cui si è persa memoria, che colloca nelle vicinanze di San Bennato. La prima chiamata Governatore: prende questo nome dal fatto che qui si trovava la tenuta di un antico governatore militare o civile di Rio? La seconda detta Debbio, e in questo caso la spiegazione è semplice: i debbi erano terreni periodicamente bruciati per eliminare le erbe infestanti e le stoppie, e quindi prepararli per la nuova semina. Il toponimo ricorre sull'isola almeno altre 3 volte.
Sul versante che guarda Portoferraio si trovano bellissime calanche, in uno dei tratti di costa più selvaggi dell'isola. Cala dei Cancherelli deriva da un vernacolo elbano, anche nella forma cancheretti, che sta per ciotole o buglioli, riferendosi alle caratteristiche della banchina tufacea che caratterizza la costa, in cui l'azione del mare ha scavato tante piccole conche. In passato da esse veniva ricavato il sale marino, con l'evaporazione dell'acqua. Il poco attraente toponimo Pisciatoio (a differenza dell'incantevole spiaggia) origina molto probabilmente dalla valle omonima, forse perché poco ricca d'acqua (nella parlata elbana anche attuale un fosso o una sorgente di scarsa portata viene detto appunto che pisciano), o magari perché in essa si creavano pozze stagnanti e putrescenti da far pensare appunto a orina. La cala che prende il nome di Forno la Vecchia ricorda la presenza di una fornace per calce, oggi ridotta in rudere e sepolta da bei ginepri. Cala Mandriola deriva molto probabilmente dal termine antico “mandriolo”, ovvero recinto per animali d'allevamento. L'interessante (e splendida dal punto di vista ambientale) cala dei Mangani presenta un toponimo incerto: il “mangano” era un antico strumento di guerra, quindi forse ci si riferisce a un'antica postazione militare di vigilanza costiera. Cala Mendolina si apre a due possibili spiegazioni: la mendola è un pesce (Spiacara maena), sull'isola chiamato locco, quindi può avere un'attinenza con una costa; ma potrebbe anche essere una corruzione di “mandolo”, vernacolo elbano che sta per mandorlo, forse perché qui vi vegetava un bell'albero.
Andrea Galassi