Quando mi svegliai, quel giorno sembrava un giorno come tanti altri, la mia camera era stretta e compatta, mi vestì con gli unici vestiti che avevo, e mi lavai con la poca acqua che potevamo avere ogni giorno, Mio nonno come al solito dormiva sul divano consumato dall'alcool, non feci colazione poiché non ce la potevamo permettere, le ultime monete erano state spese in alcolici, e lo stipendio della fabbrica era misero.
Uscii di casa, e subito lo smog mi assalì, Alber era cambiata tantissimo, dopo l'arrivo delle macchine si trasformò da una tranquilla cittadina di campagna ad una enorme città industriale, i tempi in cui giocavo col nonno in giardino e cacciavo nel bosco erano ormai lontani ricordi, quando la magia ancora era presente e vivevamo a contatto con la natura, adesso invece Alber era una città grigia, inquinata ed infestata da ladri e poveri mendicanti, mentre formulavo questi pensieri, arrivai dinanzi alla fabbrica, era un edificio imponente, dipinto di grigio e su cui svettavano ciminiere da cui usciva continuamente fumo nero, era inoltre circondata da mendicanti e venditori ambulanti, che cercavano di portare a casa il necessario per sopravvivere, aprii la porta, e mi trovai davanti il proprietario della fabbrica.
Il proprietario era un uomo basso e grassoccio, pelato, con un naso a maiale ed gli occhi di un grigio spento incredibilmente triste, era vestito con abiti eleganti e indossava collane ed anelli tempestati di gioielli, mi bloccò la strada con la sua presenza imponente con uno sguardo arrabbiato.
“Sei in ritardo! Tuonò con la sua voce imponente. Sai cosa succede ai lavoratori in ritardo?”.
“No, signore…”, risposi spaventato, quasi sussurrando.
“Lo scoprirai ora!”, disse sghignazzando.
Dopo di che mi prese per il colletto della trasandata camicia ed iniziò a trascinarmi, provai a ribellarmi e a dimenarmi, ma la sua presa era troppo forte, mentre mi dimenavo, vidi i miei amici lavorare in fabbrica, stavano tessendo tessuti come al solito, il proprietario mi portò fino ad una vecchia porta di ferro arrugginita per lo scorrere del tempo, la aprì e mi ci buttò dentro:
“Buona punizione!”, disse ridendo e tossendo.
Mi ritrovai dentro questa stanza buia con un marcato odore di ruggine, a tentoni, avanzai per vedere se c'era qualcosa oltre il buio, dopo poco inciampai su qualcosa, mi girai e tra il buio notai un ragazzo della mia stessa età.
“Ciao, mi chiamo Albert”, disse lui presentandosi.
Era un ragazzo scheletrico, coi capelli di un castano spento quasi grigio, gli occhi però erano di un verde smeraldo che sprizzavano speranza da tutti i pori, indossava abiti vecchi e logori.
“Io mi chiamo Shekel”, dissi freddamente, “co-nosci un modo per uscire di qua?”.
“Sei di poche parole eh? Comunque, sì, vedi quella grata là in alto?”.
Guardai in alto e vidi una vecchia grata di legno marcio e dissi:
“Arrampichiamoci”.
Lui rispose:
“Ok, sali sopra di me”.
Salii sopra di lui e riuscii a sfondare la grata e ad entrare in un condotto di aerazione, dopo aver fatto arram-picare Albert, ci incamminammo nel condotto, in cerca di una fuga.
“Lo sai che ci licenzieranno dopo tutto questo vero?”, chiese lui
“Lo so, ma ci avrebbero licenziato lo stesso dopo il ritardo. Piuttosto dimmi, da dove vieni? Non ti ho mai visto in fabbrica e non sembri di queste parti”, gli chiesi io sospettoso.
“Mi hanno assunto un paio di giorni fa, vengo da un villaggio vicino”, rispose lui.
La risposta non mi convinse, c'era un qualcosa di strano nel suo modo di fare e di parlare.
“Di qua!”, disse lui, indicandomi la direzione come se conoscesse la strada.
Dopo poco, arrivammo davanti ad una grata metallica da cui proveniva una luce rosso cremisi, sfondammo la grata, e ci trovammo davanti ad una stanza piena di fili, che convergevano tutti in un solo punto, al centro della stanza, dove era presente un buco, ci avvicinam-mo, e notammo che il buco era buio e apparentemente senza fondo.
“Scendiamo”, disse convinto Albert.
La sua convinzione aumentò i miei sospetti, non feci domande per non perdere ne tempo ne la sua fiducia, così scendemmo aggrappandoci ai fili, la discesa durò circa tre o quattro minuti, quando atterrammo, ci ritrovammo in un ampia stanza buia. Passato un po' di tempo delle luci blu si accesero in una direzione, rivelando una galleria molto lunga.
“Andiamo”, disse Albert sempre con voce sicu-ra, così andammo e camminammo per circa sei minuti, finché, alla fine, trovammo uno spettacolo mozzafiato.
Ci apparve improvvisamente un gigantesco albero dal tronco argenteo e dalle foglie blu, al quale erano attac-cati centinaia di fili. La stanza che lo conteneva era a forma sferica, costruita in uno strano materiale nero.
“Siamo arrivati”, disse Albert.
“Arrivati? Sapevi di questo posto?”, gli chiesi io.
“Ricordi la domanda che mi hai posto tempo fa? Chiedendo la mia provenienza? Ebbene, io sono lo spirito di questo albero, e tu sei il prescelto”.
“Prescelto? Cosa significa?”.
“Ricordi ancora i tempi in cui Alber era una piccola cittadina circondata dalla magia? Bene, quella magia proveniva da questo albero, che è il centro del mondo”.
A stento credetti a ciò che Albert mi diceva. Come leggendomi nel pensiero, lui iniziò a camminare verso l'albero e ci entrò dentro, dopo poco sentii una voce rauca uscire dall'albero
“Poi sono arrivate le macchine, e gli uomini mi hanno usato per alimentarle, prosciugando la magia che circondava questo posto”.
“Ed io cosa centro in tutto questo?”, chiesi titubante.
“Tu, Shekel, sei il prescelto che libererà l'albero dalla sua prigionia, sei colui che è nato dalla magia per proteggerla”.
Iniziai a capire, e chiesi:
“Capisco, ma io come faccio a liberarti?”.
“Devi semplicemente scollegare i cavi, sei l'unico che può farlo, nonostante sembri un'azione banale”.
Così, mi avvicinai all'albero e provai a scollegare un cavo, ci misi un po' per la sua grandezza ma alla fine riuscì a staccarlo, dopo di che tutti gli altri cavi si scollegarono da soli, come per magia, l'intera stanza iniziò a tremare e un'accecante luce bianca si sprigionò dall'albero, dopo di che, svenni. Mi risvegliai in un prato, chiedendomi dove fossi, mi alzai e guardai intorno, ero ritornato alla vecchia Al-ber, quella magica che viveva a stretto contatto con la natura, al centro svettava l'albero artefice di tutto questo. Fu così che Alber ritornò ai vecchi tempi, ed io divenni il protettore del villaggio.
Un racconto di Francesco Luzzetti e Stefano Testa