Il 1 ottobre scorso ho partecipato ad un incontro a distanza organizzato dall’Associazione nazionale archivistica italiana insieme all'Associazione italiana docenti universitari di scienze archivistiche per riflettere sullo stato degli archivi, sulle prospettive dell'intero settore e sulle conseguenze della pandemia. Il dibattito scaturito tra gli illustri relatori (Saverio Russo, Massimo Firpo, Fulvio Cervini, Tomaso Montanari, Manuel Rossi, Donata Levi, Andrea Giorgi, Giovanni Paoloni, Stefano Vitali) coordinati da Diana Toccafondi (ANAI, Consiglio superiore dei beni culturali), pur mettendo in luce le gravi difficoltà in cui versa tutto il settore dei beni culturali, è stato per me talmente interessante e stimolante che mi ha indotto a scrivere alcune riflessioni.
La mia passione per gli Archivi è nata ormai moltissimi anni fa mentre, nell’Archivio Storico comunale di Portoferraio, compilavo la tesi di Laurea sui Consolati del Mare. Si trattava di studiare centinaia di affascinanti documenti cinquecenteschi, esempi d’ordinamento giuridico marittimo, costituiti da resoconti di viaggi resi avventurosi da tutta una serie di pericoli: dalle tempeste, alle secche affioranti, agli assalti dei corsari. Mentre, con grande difficoltà decifravo distorte grafie e creavo schemi per riportare i dati estratti dalla lettura, mi riaffioravano nella mente le parole di mia madre che mi ricordavano l’incontro quotidiano di mio padre con le grandi onde dell’oceano, con gli uragani dei Tropici e con la furia del mare sulle coste della Terra del Fuoco. Leggere quelle antiche carte d’archivio è stato come vedere tutti i miei antenati marinai lottare contro gli elementi della natura, è stato come incontrare una folla di persone rimaste cristallizzate in un letargo durato centinaia di anni. Ho immediatamente avvertito che tutte quelle vite non meritavano di rimanere nell’oblio, se non altro per l’immane fatica che avevano fatto a sopravvivere nelle condizioni proibitive che la loro epoca e la loro condizione imponevano. Questo sentimento, questa pietas verso la mia gente, mi ha dato l’impulso per continuare a lavorare in questo settore tanto bello quanto difficile. Non sto affermando con ciò niente di nuovo, così rifletteva Aby Warburg nel 1902 riferendosi alla dura e ligia opera di ricostruzione del passato attraverso le ricerche d’archivio: «In centinaia di documenti letti e in migliaia di documenti non letti sopravvivono ancora in archivio le voci dei defunti e la pietà dello storico ha il potere di riconferire timbro alle voci inudibili». Warburg si riferiva alla sfera della storia dell’arte, io affianco questo sentimento alla profonda convinzione che la storia consista nella memoria dell’operato delle persone di ogni estrazione e funzione sociale che, con il loro apporto personale, contribuiscono alla più generale evoluzione umana. Per questo penso fermamente che ogni Archivio, anche quello apparentemente più insignificante, in quanto custode di tracce di umanità, possegga una sua importanza che lo rende meritevole non solo di degna conservazione ma soprattutto di studio e di ricerca. E ribadisco che sia un sacrosanto dovere salvaguardare e valorizzare il patrimonio archivistico non solo in quanto preziosa memoria storica collettiva ma in quanto fonte di diffusione della conoscenza. Trascurare Archivi e biblioteche, beni culturali dove, ripeto, si studia e si fa ricerca, equivale a tradire l’Articolo 9 della Costituzione italiana che recita:« La Repubblica promuove lo sviluppo e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione».
Gloria Peria
(Direttore scientifico della Gestione Associata degli archivi storici dei Comuni elbani)