Nel non tanto lontano 2014, un aereo precipitò su un’isola con all’interno 25 persone, solo una si salvò, era un ragazzo di 29 anni esperto di sopravvivenza. Alto due metri e quindici centimetri, giocava a basket agonistico, si chiamava Giorgio, tutti lo chiamavano Gio l’Everest per la sua altezza. Gio, dopo un lungo svenimento, si mise a cercare immediatamente un riparo, delle provviste e un luogo sicuro. Si mise a camminare per quest’isola, era un’isoletta piccolina di sette, otto km quadrati, con il punto più alto di 1234 m, aveva la forma di un fiore. Camminando trovò un cane grande, un barbone di forse 5 mesi maschio: era di color nero sporco, il muso docile, senza collare; il cane era ferito gravemente, allora Gio prese delle foglie di quercia e tappò la ferita, tenendo ben ferma quella medicazione di fortuna con la stringa della scarpa che tendeva come una scotta della randa di una barca a vela. Gio, senza indugio, lo prese per paura che qualche animale feroce lo ferisse nuovamente.
Passarono diversi giorni dall’accaduto e Gio e il cane, gli unici sopravvissuti a quell’incidente aereo, andarono all’aereo precipitato in cerca di provviste. Trovarono una radio, due pistole segnalatrici e dell’acqua sufficiente per quindici giorni. C’erano inoltre quattro fumogeni, una radio rotta per l’impatto e un accendino. Quella sera Gio si creò un riparo per dormire insieme a Benny, era il nome che il ragazzo aveva dato al cane; accesero un fuoco e si misero a dormire al calare del sole cosicché la mattina seguente sarebbero stati carichi per andare a caccia. Alle prime luci dell’alba, presero un pesce e un lucertolone. Quel pomeriggio consumarono il pesce, cotto sul fuoco, mentre il lucertolone, lo misero da parte per la sera. Il giorno dopo venne a diluviare, allora Gio e Benny corsero alla velocità della luce dentro una grotta da lo-ro trovata in precedenza, accesero un fuoco per prevenire raffreddore, febbre e malattie varie che avrebbero ridotto la loro forza e la voglia di continuare, dormirono lì accucciati vicino al fuoco, al caldo. La mattina dopo, nella capanna che si erano creati, la grandine aveva danneggiato i fumogeni, gli rimaneva solo la radio rotta, l’accendino e le due pistole segnalatrici. A Gio gli venne in mente la fantastica idea di andare dall’altra parte dell’isola e camminando trovarono un albero di mele, nella lontananza videro un uomo sdraiato che sembrava morto, lasciarono tutto e corsero verso di lui. Lo svegliò con degli urli e l'uomo si svegliò:
“Grazie mille ti sono molto grato, da dove venite? dove mi trovo?”
E Gio rispose.
“te lo dirò quanto prima ma dobbiamo affrettarci, dobbiamo prendere le mele dell'albero”.
Ne presero dieci che gli bastavano per cinque giorni. La mattina dopo si misero a cercare dei pesci in acqua, presero dei piccoli pesci di circa mezzo chilo l’uno che mangiarono quel pomeriggio insieme alle mele; il nuovo arrivato era felice:
“non so come ringraziarvi, non ci siamo ancora presentati, come vi chiamate?”
“Io mi chiamo Gio e faccio basket questo è il mio fidato cane che si chiama Benny”.
“Ok, io sono Lucio, un cantante che ha fatto varie canzoni”.
Dopo un paio di giorni, i due fecero il giro della costa a piedi per cercare un punto favorevole per le segnala-zioni, intanto giocavano spensieratamente, ignari di quello che poteva accadere se nessuno si fosse accorto di loro sono su quell’ isola. Passarono svariate ore, fortunatamente, un gruppo di pescatori passò di lì, salvandoli e imbarcandoli; dopo una settimana erano tutti a casa, Gio decise di tenere con sé Benny. Questa storia ha fatto poi il giro del mondo perché è difficile che un ragazzo di 16 anni su un’isola, da solo, potesse sopravvivere, anche se Gio e il suo fidato cane non mori-rono a causa del naufragio, no, ebbero la fortuna di raccontare a tutti la loro incredibile avventura.
Diego Lipani