Oggi mi sembra di rivivere quel giorno, dove la pandemia sembra un terremoto inarrestabile che colpisce senza avvertire e lascia solo dietro di sé morti, feriti e tanti perché!
8 Dicembre 1980, la tradotta da Cuneo per Battipaglia (SA) partiva con il suo carico di Alpini, verso le zone terremotate portando ognuno nel cuore la certezza che avremmo passato il Natale, privo dei nostri affetti più cari…, ma sapevamo che se li c’era bisogno, noi avremmo dato il nostro piccolo contributo.
La destinazione finale è stata Potenza, dove abbiamo prestato i primi soccorsi e dato il cambio ai nostri colleghi che erano arrivati nella prima emergenza. Lo scrivente fu aggregato presso il Centro Operativo di Potenza come furiere – segretario, assistente vedete voi il termine più appropriato – alle strette dipendenze militari, che ricevevano ordini dall’allora governo in carica. Non so perché quell’incarico mi venne affidato, so soltanto che da allora e per diversi anni con le persone con le quali ho passato diversi mesi gomito a gomito, scordandomi alle volte il pasto o le notti passate dopo scosse di assestamento, a contattare tutti i reparti, ed i Comuni interessati per aggiornare il triste elenco dei deceduti, e feriti…
Durante quel periodo, ho avuto la possibilità di toccare con mano, vedere,tutto quello che il terremoto aveva distrutto, la disperazione delle persone, famiglie di famiglie, che venivano a bussare per chiedere un riparo, un posto dove vivere in famiglia… e così arrivarono le prime roulotte a soddisfare quelle minime esigenze per cercare di tornare alla normalità. Giorno dopo giorno vennero consegnate alla popolazione nei vari comuni nel potentino.
La visita mesta e silenziosa davanti alla chiesa di Balvano, dove non lo nascondo ho pianto, di fronte a quelle vittime- 66 fra adulti, adolescenti e bambini - che erano radunate per celebrare l’Eucarestia, mi sono posto la domanda come mai il Signore avesse permesso un simile disastro, confesso di avere avuto anche rabbia, e sopratutto ho scoperto il limite umano, nessuno avrebbe mai pensato di costruire case antisismiche e cosi via…da questa terribile esperienza è nata ai suoi primordi la Protezione Civile.
Più i mesi passavano più l’emergenza terminava, ed alla fine rimase soltanto il corpo del genio militare per consegnare i prefabbricati a sostituzione delle roulotte per la prima emergenza.
Oggi a distanza di ben quarantanni, con qualche capello bianco in testa, è rimasto nella mia memoria l’incapacità che forse si poteva fare di più, ma che non è la solita frase fatta, ma se in Friuli la ricostruzione era stata un esempio di concretezza e di volontà della popolazione locale, purtroppo in Basilicata ci si è dovuto scontrare con un tessuto che non ha voluto abbandonare temporaneamente le proprie case, con i loro validi motivi, e questo ha rallentato la macchina della ricostruzione, per poi alla fine arrivare in alcuni casi a negoziare il costo della riparazione delle case direttamente con i proprietari.
Purtroppo questa situazione non ha agevolato il rinnovamento, nonostante questo l’esempio di Melfi, quale nuovo presidio e sviluppo industriale del Sud è da considerarsi una eccellenza.
Cosa mi porto dentro: un’esperienza di vita vissuta, dove invece che difendere il territorio, abbiamo difeso la vita con gli scarsi mezzi di quei tempi, ed abbiamo dato prima di tutto a noi stessi la convinzione di aver fatto qualcosa che sapeva di buono.
Cosa mi ha fatto cambiare: lo spirito di accoglienza, lo spirito di condivisione che mi ha dato quella apertura mentale di servire e di relazionarsi con l’altro, facendo volontariato a prescindere da tutti e da tutto, e sopratutto la capacità di ascolto perché da soli non si va da nessuna parte.
Sono grato al Corpo degli Alpini, per questa opportunità che mi porto dentro da ben quarantanni, e nonostante mi consideri più un lupo di mare, le esperienze di montagna mi hanno lasciato il dono della solidarietà, ed un ricordo di vita spensierata prima di entrare nel mondo del lavoro.
Gianni Sardi