Il 3 febbraio 1896 Pietro Gori fa tappa a San Francisco (California). Può finalmente affacciarsi sull'Oceano Pacifico, contemplandolo da uno dei promontori più celebri del mondo. Il suo viaggio coast to coast è compiuto, con decenni di anticipo su quelle generazioni che sogneranno di farlo (compreso chi scrive, confessando la banalità). Nella città californiana, il 15 marzo, parlerà nella Bersaglieri Hall, in un intervento che verrà ricordato come il più apprezzato del suo tour americano, intitolato “Il vostro ordine e il nostro disordine”. Altra conferenza è “Scienza e religione”, dove attaccherà la chiesa nella sua lotta oscurantista contro il progresso. A San Francisco allestirà anche i drammi “Proximus tuus”, “Primo maggio” e “Senza patria”.
Il giovane Pietro mostrò interesse per la politica fin dagli anni del liceo classico, il Niccolini di Livorno, un istituto prestigioso, frequentato dalla prole della borghesia medio-alta della città. Ma non si avvicinò inizialmente alle idee anarchiche: probabilmente ancora influenzato dalle posizioni del padre Francesco e dell'ambiente di studio borghese, aderì a un'associazione monarchica. Questa politica non dovette entusiasmarlo molto, poiché ben presto venne espulso per non chiare “indelicatezze”. Lo stesso Pietro, con sincerità e ironia, non nasconderà in futuro questo “peccato di gioventù”: “Da ragazzo […] ho battuto parecchie volte le mani alla marcia reale; ma che seria professione di fede politica! Mio dio, sì, ho perpetrato qualche rugiadoso telegramma al re”. Virgilio Mazzoni, uno dei suoi migliori amici nonché compagno di ideali, dice che già nell'ultimo anno di liceo, lui e Pietro si erano avvicinati alle idee di sinistra, assistendo ai comizi dei socialista Ezio Foraboschi.
Ma sarà a Pisa, fin dal primo anno di università, che entrerà in contatto con gli ambienti anarchici e rimarrà folgorato dall'Ideale. Sempre Mazzoni scriverà a questo proposito, molti anni dopo: “La di lui evoluzione verso le dottrine libertarie incominciò dopo la frequenza alle conferenze di Livorno ed alle veglie goliardiche del Caffè dell’Ussero a Pisa ove gli studenti chiassosi si frammischiavano volentieri agli operai studiosi e a non pochi vecchi militi dell’Internazionale: fra i quali Oreste Falleri, Enrico Garinei, Raffaello Parenti, Teodoro Baroni e altri molti”.
A detta dello stesso Pietro però è un episodio che lo aveva profondamente turbato a farlo volgere verso l'anarchia. Ed è proprio l'Elba, dove questo dramma si era consumato, a segnare ancora una volta con un forte carattere la sua personalità: “Vi ricordate, o buoni montanari dell'Elba, quella vigilia di Natale che un nostro piccolo amico, restò sepolto sotto una frana della miniera? […] Innanzi a quelle misere carni spezzate, là presso il corbellino insanguinato da quelle prime affannose battaglie del lavoro – innanzi a quella giocondezza infantile divelta via dalla vita – balzò per la prima volta nell'animo mio lo spettro della vigliaccheria umana – una vigliaccheria collettiva che uccide i fanciulli, e che nondimeno i codici chiamano delitto. Da allora il germe anarchico mi si conficcò nel cuore, vi crebbe, e vi divenne gigantesco. Il militante di convinzione non fece in me che sbocciare dal ribelle per sentimento”.
Non ci volle molto che il suo carisma, la sua intelligenza, la sua forza oratoria lo portassero a occupare posizioni di rilievo nel movimento: Amedeo Boschi ricorda che il suo primo comizio è del 1886: “Venne un giorno all’Ardenza a far propaganda delle nuove idee un giovane studente in legge che prese a parlare con una colorita eloquenza e con argomenti veramente persuasivi. Era Pietro Gori, divenuto poi un valente avvocato e un propagandista anarchico di fama internazionale. Alle sue conferenze accorrevano le folle, attratte dalla sua parola dolce e suadente, entusiasmate dalla sua oratoria, anche se non afferravano pienamente i concetti profondi o se li comprendevano soltanto vagamente. Io fui ben presto conquiso dalla propaganda di Pietro Gori. Gli divenni, oltreché compagno, amico e fu amico intimo della mia famiglia”.
Intanto a Livorno diede il suo contributo al foglio anarchico “Sempre avanti!”, curato dal Circolo di studi sociali. Nel primo numero della nuova serie uscì una sua poesia augurale, e nel quarto l'articolo “La storia”, in cui attaccava gli storici, che non studiavano le origini del proletariato e del pauperismo, augurandosi un cambio di rotta verso una “storia dell'umanesimo”. Agli inizi del 1888, nelle vesti di segretario dell'associazione studentesca, organizzò la commemorazione di Giordano Bruno. Attivismo e intelligenza gli sono riconosciuti fin da subito, tanto che nel 1889 i libertari toscani gli affidano la direzione della “Questione sociale”, che avrà vita breve (solo cinque uscite, tra maggio e giugno) in quanto impallinato dai sequestri.
Il ventenne Gori rimase quindi attratto dalle idee di Michail Bakunin, ma non abbandonò mai la sua personale considerazione che lo spingeva ad aborrire fermamente la violenza e non a considerarla un male necessario alla causa. Ecco un parallelo. L'ideologo russo scrive, in “Stato e anarchia”: “La rivolta popolare è per natura istintiva, caotica e spietata. […] Questa passione indubbiamente negativa è ben lontana da permettere di raggiungere l'altezza della causa rivoluzionaria; ma senza di quella quest'ultima sarebbe inconcepibile e impossibile perché non può esserci rivoluzione senza una distruzione vasta e appassionata, una distruzione sana e feconda dato che appunto da questa e solo per mezzo di questa si creano e nascono nuovi mondi”. Sentiamo invece Gori: “Essere rivoluzionari non vuol dire essere violenti, ma significa soltanto mettere le forze coscienti a servizio dei diritti degli uomini per ristabilire l'ordine vero del mondo. Io aborro la violenza e il sangue e la vita del mio simile mi è più sacra della mia stessa vita. Ma solamente le generazioni venture, quando avranno saputo redimersi nel trionfo dell'amore civile, conquisteranno il diritto di recriminare i nostri travagli rivoluzionari, con i quali abbiamo sofferto e lottato per rivelare al mondo lo spirito di fratellanza”.
Quindi per Pietro e la sua generazione non era tempo per raccogliere il frutto di un nuovo eden, ma solo per preparare il terreno. E per le generazioni venture che mondo si sarebbe spalancato? “La rivoluzione sociale sarà la rivendicazione di tutti i diritti del popolo, sarà il gran giorno dell'uguaglianza umana: la rivoluzione sociale spazzerà via come il soffio potente di un'immensa tempesta, tutti i privilegi e tutte le ingiustizie del presente, tutte le barriere e tutti i confini tra popolo e popolo. L'aria sarà purificata da quella ultima lotta di tutto l'avvenire di tutto il passato. Cadranno le mostruose e decrepite istituzioni del presente, e l'organismo della grande famiglia umana rifiorirà spontaneamente, secondo leggi immutabili della natura. […] Il lavoro è dunque il primo elemento della vita sociale, e attorno alla gloriosa bandiera del lavoro l'umanità affratellata si stenderà amorosamente la mano, allorquando sotto lo scroscio formidabile della grande rivoluzione, sarà caduta la proprietà individuale, e sarà subentrata a questa la proprietà comune. Colla proprietà individuale cadranno tutti i privilegi di casta. […] Tutto quello che verrà accumulato nei magazzini e nei depositi della comunità, prodotti della terra, tessuti, manifatture, commestibili ed ogni oggetto infine necessario alla vita, essendo il frutto del lavoro di tutti, dovrà appartenere a tutti indistintamente”. Anch'egli aveva una mistica della rivoluzione, dunque, ma più vicina a un regno dei cieli laico. Un paradiso in terra da profetizzare agli ultimi, che – il quando e il come, sono incerti – raggiunta una spiritualità elevata, sorgeranno pacificamente per viverlo.
Ma a più di un secolo di distanza non ci siamo nemmeno minimamente avvicinati. Basti pensare che tra noi e Pietro ci sono stati i peggiori totalitarismi e due massacri mondiali, guerre regionali, genocidi e pulizie etniche, e ancor oggi ci troviamo con un pianeta diviso tra paesi sfruttati e paesi sfruttatori, dove i beni più preziosi sono più nelle mani del privato che della collettività, dove il molto è dei pochi, dove assistiamo a drammatiche discriminazioni razziali, sessuali e sociali.
Purtroppo, caro Pietro, di quelle generazioni venture redente dall'amore civile non c'è traccia.
Andrea Galassi