A scuola tutti mi prendevano in giro perché avevo la faccia piena di segni di ustioni e il naso storto; tutti mi chiamavano Ginevra la bambina dal volto deforme. Da piccola, ero stata vittima di un incendio che aveva causato la morte dei miei genitori e così, da quel gior-no avevo vissuto con la mia prozia e la sua famiglia. Lei era una persona davvero cattiva, mi teneva con sé soltanto perché non avrei avuto altro posto in cui andare, dato che gli altri miei parenti abitavano altrove... Nemmeno lei mi sopportava e mi prendeva in giro per il mio aspetto e tutte le volte mi diceva:
“Tu non meriti di stare in questa famiglia”.
Suo marito invece continuava a bere sempre di più e tutte le volte che tornava a casa si sfogava su di me, mi schiaffeggiava con ciabatte e libri. Per non parlare delle loro due figlie, Giulia e Sara, insopportabili, brutte e goffe. Tutte le volte che combinavano qualcosa davano sem-pre la colpa a me in modo tale che mia zia mi mettesse in punizione. A volte, nel silenzio della mia camera, desideravo ardentemente un modo per vendicarmi. Era un giorno come un altro, stavo facendo il mio solito sentiero per tornare a casa da scuola, quando all’improvviso sentii dei rumori molto insoliti, mi spaventai molto e presa dal panico iniziai a correre sba-gliando la strada di casa. Nel mio vagare, scoprii una piccola casa di legno, ci entrai e vidi una bambola di porcellana, con il viso chiaro e un vestito verde. Era come se mi stesse fissando. Incuriosita, la presi in braccio e ad un certo punto la bambola disse:
“Ora io aiuto te e tu poi ricambierai”.
Guardai se la bambola avesse le pile, così da potermi spiegare come mai parlasse, ma inorridita scoprii che non le aveva. Avevo paura, non sapevo che fare, misi a posto quella bambola e me ne tornai a casa. Una volta tornata a casa mi chiusi in camera, ma per sbaglio chiusi la porta con troppa forza. Sentii già i passi della zia che saliva per venire da me, e sicuramente per punirmi. Io mi nascosi dentro l’armadio e sentii qualcuno aprire la porta. Non era la zia ma il marito: lui aprì l'armadio e spaventata mi misi in ginocchio davanti a lui implorandolo di non punirmi. Lui sembrava non sentirmi e biascicò: tua zia è morta. Vidi scorrermi davanti agli occhi la mia vita velocemente: la sofferenza, l’odio verso mia zia, il desiderio di vendetta, il sentiero, la casa, la bambola. Zia era morta. Corsi via di casa come una folle, convinta di non voler tornare mai più e invasa da un terribile senso di colpa.
Impiegai un bel po’ di tempo per ritrovare la casetta di legno. La bambola mi accolse davanti alla porta, come se mi stesse aspettando. Non parlava stavolta. La presi, entrai e la riposi su uno scaffale. Cercai di non pensare a lei, ma a come sistemarmi lì dentro, per riposare un po’. L'interno non era molto accogliente ma se mi fossi data da fare avrei potuto dare una sistemata. C'era un piccolissimo letto con un lenzuolo rosso, una coperta di lana gialla e dei cuscini verdi. Al posto del pavimento solo coperte. Le sollevai un po’ per spolverare e scorsi un libro, anzi un diario, con su scritto: il diario di Isabella. Ero proprio curiosa di scoprire chi fosse questa Isabella, così, proprio mentre stavo per aprire il diario, iniziai a sentirmi molto osservata. Era la bambola a fissarmi di nuovo in modo espressivo. Decisi che sarei stata io a rivolgerle la parola, stavolta.
“Per caso sei tu Isabella?”.
e lei mi rispose
“Isabella è mia sorella. Io sono Arianna. Nostra madre fu una strega. Isabella morì anni fa per colpa mia. Avrei dovuto vigilare su di lei e in-vece non lo feci. Bevve una pozione letale che avevo preparato per gioco. Mia madre, furibonda, mi trasformò in quello che vedi, una bambola di ceramica. Scorri le pagine del diario, troverai però la formula che scioglie l’incantesimo e che può riportare in vita Isabella e liberare me da questo involucro. Solo una persona estranea e che crede alle mie parole può rendere efficace la formula”.
Io ero tramortita da quelle informazioni e stavo per ri-fiutarmi quando lei aggiunse minacciosa, quasi leg-gendomi nel pensiero:
“Non puoi farlo, io posso far molto male agli altri, come sa bene la tua prozia!”.
Mi mancarono le forze dalla paura. Sfogliai veloce-mente il diario e trovai la foto di una bambina bellis-sima, con i capelli color alabastro e gli occhi azzurri. Sotto la foto, c’era una formula in latino. La pronunciai tra le lacrime e d’un tratto accaddero due cose straordinarie. Dinanzi a me, Arianna riprese colore, vita e movimento. Accanto a lei apparve la bambina della foto, con la carnagione violacea e gli occhi rossi di sangue. Si avventò sulla sorella come un demonio e la strinse finché non le mancò il respiro. Non volevo che le due si facessero ancora del male, no, non potevo permetterlo! Provai a separarle con tutte le mie forze ma presto mi vennero a mancare, la testa mi si riempì di voci moleste, fummo attratte verso il centro della terra come da un vortice nero. Era la fine. Spalancai gli occhi e sentii di stringere tra le mani sudate le lenzuo-la, le lenzuola del mio letto. Riconobbi i tratti della mia camera, mia zia che mi tirava giù dal letto per la camicia da notte e la sua voce cattiva che mi incitava ad alzarmi. Si era trattato di un incubo.
Vittoria Somma