Lacona per buona parte dell'anno è sempre stata una sonnacchiosa località. Il boom turistico ha ravvivato le sue estati. Ma per secoli solo i lavori agricoli e la festa del santuario della Madonna, il 5 agosto, hanno animato la zona nei mesi caldi. Comunque sempre ben lungi dall'odierno casino vacanziero. Sembra quindi incredibile che in un ambiente quasi aulico la storia ricordi uno dei più efferati delitti compiuti all'Elba, e proprio nel luogo sacro del posto: il santuario della Madonna della Neve.
La sera dell'11 giugno 1793 compare nella curia foranea di Capoliveri Domenico Perotto, garzone degli eremiti (custodi) del santuario laconese. La notizia che porta è devastante. Alle 19 italiane (approssimativamente le 4 del pomeriggio dell'orario attuale) gli eremiti della chiesa, Domenico Parodi e Giuseppe Carletti, sono stati assaliti da un gruppo di soldati, al comando di un sergente, della piazzaforte di Longone. Il vicario foraneo, Giacomo Gelsi, incarica Luigi Bartolini, il cancelliere comunale, di avviare l'indagine.
Prima di proseguire, precisiamo meglio le ultime due figure. Il vicario foraneo era una sorta di prefetto comunale del principato di Piombino, con poteri giudiziari. Scrive Angelo de Scisciolo (“Statuti di Capoliveri (Secc. XVII-XVIII)”, Firenze, 1997, pag. 19): “era nominato dal principe fra le persone aventi i requisiti della cittadinanza straniera, il titolo di dottore in diritto civile e canonico, e precedenti esperienze nell'amministrazione della giustizia. Già da questa premessa, è evidente che egli finiva con l'essere un delegato del potere centrale nell'amministrazione della giustizia”. Il cancelliere era una sorta di segretario comunale, con un'accezione più ampia della figura attuale, in quanto gestiva e redigeva anche gli atti dell'amministrazione giudiziaria del comune. Come si vede da questa vicenda, poteva assumere il ruolo di collaboratore del vicario foraneo. È interessante notare dai cognomi, che entrambi erano scelti dal principe tra le famiglie notabili del paese.
Bartolini si precipita a Lacona, anche perché Perotto riferisce che Parodi è ancora vivo seppur ferito gravemente. Con lui giunge anche un prete da Capoliveri, don Michele Baldetti, mandato dal parroco don Ippolito Costa, per le funzioni religiose del caso. Scrive Enrico Lombardi (“Vita eremitica nell'isola d'Elba”, Brescia, 1961, pag. 55) che don Michele porta con sé “una Particola Sacra, inchiusa nel suo proprio vasetto e trasportata con la dovuta riverenza insieme con l'olio santo, perché facesse quanto conveniva ad assistere il disgraziato”. Ma giunti a Lacona non poterono che constatare la morte di entrambi gli uomini. Don Michele impartì l'estremo sacramento e disse messa. Due giorni dopo i corpi furono sepolti nello stesso santuario.
In quell'11 giugno però si dovevano avviare le indagini. Ma essendo ormai un'ora tarda, Bartolini rinviò l'analisi al giorno dopo: “Essendo infatti qui venuto ad ora che sarà la mezza ora della mezzanotte incirca [più o meno le 9 di sera dell'orario attuale] e non essendo potuto venire il Signor Dottore Medico Condotto di Capoliveri non si potiede all'atto di referto dei precitati due eremiti ritrovati già estinti. Per lo che credei, senza rimuovere cosa alcuna dalla situazione in cui vi è rimasta, fosse lasciato il Romitorio e rimandato il tutto a domani mattina”.
L'indomani, ad analizzare la scena del delitto ci sono lo stesso Bartolini, il medico condotto di Capoliveri Michelangelo Gelsi, “il pubblico esecutore, alcuni soldati paesani comandati a questo effetto, e gli iscritti testimoni”. E qui emerge l'aspetto più interessante di tutta la vicenda: l'indagine del luogo del crimine, raccontata minuziosamente nel rapporto di Bartolini, è qualcosa di esemplare per accuratezza e straordinaria modernità. Ogni stanza viene setacciata, ogni particolare annotato, qualunque cosa faccia luce sul delitto analizzata. La posizione dei corpi e i vestiti indossati dalle vittime sono descritti con esattezza fotografica: “si accedè al nominato Romitorio di questo Santuario di Lacona; e fatta aprire la porta si entrò nella prima stanza dove da me Cancelliere fornito del mandato dell'Eccell. Dottor Giacomo Gelsi Vicario Foraneo di Capoliveri fu veduto e ritrovato un certo cadavere di sesso mascolino giacente supino, col capo distante dal camino di detta stanza circa un braccio, col braccio sinistro piegato verso il petto e pugno serrato, e il braccio destro steso all'insù verso la testa similmente, con pugno serrato, con capelli e barba canuti dall'età di circa settant'anni […], vestito con camicia ed un paio di calzonetti simili, scalzo [cioè senza calzoni lunghi] con un paio di scarpe di vacchetta, senza alcuna cosa in testa”. Si tratta del corpo di Carletti, 73 anni.
“Passati poi nella camera verso tramontana fu veduto e osservato distante dalla soglia della porta circa un braccio, altro cadavere col capo verso la predetta porta supino”. È il corpo di Parodi, 75 anni, “col capo e la barba candidi vestito di camice e mutande di canapetta […] e una scatola in tasca di canapetta nera con alquanto tabacco dentro; scalzo di gambe, con scarpe in piedi di rustica vacchetta”.
Anche l'autopsia compiuta dal dottor Gelsi è di taglio moderno, degna di un anatomopatologo di oggi. Le ferite sui corpi dei cadaveri sono analizzate minuziosamente nel rapporto di Bartolini, che riporta le cause delle morti riscontrate da Gelsi: “Le quali ferite tutte quante del primo e del secondo cadavere appariscono fatte di fresco da strumento tagliente, incidente e penetrante; cioè da ferro di taglio non compresa quella del Carletti già definita causata da pistola”. Inoltre le ferite “furono tutte giudicate di gran pericolo non eccettuate quelle del petto del Carletti penetranti fino al cuore e l'altra del Parodi delle recisioni delle cartilagini nasali e quella della regione della milza tutte pericolose di morte”.
Sia chiaro che anche per l'epoca indagini, autopsie e perizie criminali di straordinaria modernità non mancavano. Ma quello che colpisce è che venissero condotte con tale professionalità e dimestichezza, in una società come quella elbana, dove allora come oggi delitti di tale gravità erano più unici che rari; e da inquirenti e medici che si possono definire tutt'al più di campagna, non certo esperti di indagine criminale e di medicina forense.
Proviamo ora a ricostruire il delitto. Secondo Perotto, Carletti è stato ucciso da un colpo di accetta, mentre Parodi è stato preso a sciabolate sulla testa. Ma l'autopsia di Gelsi lascia supporre che Carletti fosse prima ferito da un colpo di pistola e poi finito con colpi di sciabola al petto; mentre Parodi fu colpito ripetutamente a colpi di sciabola al viso e al ventre, ma non ucciso, bensì lasciato agonizzante.
Gli assassini sono un piccolo manipolo di soldati della guarnigione napoletana di Longone. Spesso viene asserito che i colpevoli fossero solo due, un sergente e un soldato. Ma leggendo con attenzione il rapporto si evince trattarsi di qualcuno di più. L'unico testimone del crimine, Perotto, dice infatti che l'aggressione è compiuta da un sergente e un soldato, soprannominato “il Figlio della Lupetta”, quest'ultimo accusato della morte di Carletti; ma che dell'assassinio di Parodi fossero responsabili “altri del Reggimento”. Il colpo di pistola potrebbe essere stato esploso dal sergente, forse l'unico dotato di arma da fuoco. Cosa ci facevano questi militari a Lacona? Non lo sappiamo.
Non è ben chiaro anche il movente. Lombardi crede nel furto: “La leggendaria cassettina, dove il romito teneva nascosto il suo poco denaro o qualche oggetto di valore, non mancava nel romitorio di Lacona e forse dette occasione ai soldati rapinatori e crudeli di giungere a perpetuare il duplice omicidio. Infatti, dentro una cassa fu trovata una cassettina di faggio a fiorami, rotta in più parti e dalla quale erano stati probabilmente asportati gli oggetti di valore. Fu rinvenuta aperta anche un'altra cassettina in legno nero con coperchio cerchiato di ottone di proprietà dell'altro romito” (op. cit., pag. 45).
È indubbio che un furto vi fu, dato che l'indagine mostra che tutte le casse, i bauli e le scatole presenti nel romitorio furono vuotati. Ma, come riconosce lo stesso Lombardi, i romiti al massimo “potevano mettere da parte un modesto gruzzolo di denaro” non certo grosse somme o preziosi. Anche la ricognizione di Bartolini testimonia che non vivevano certo nel lusso: vengono catalogati una misera mobilia e abiti che sono poco più che stracci. È vero che potevano permettersi un garzone, ma probabilmente spesato dalla parrocchia di Capoliveri. È anche vero che i santuari elbani dell'epoca godevano di rendite non indifferenti: ma non erano certo gestite dai romiti, quanto da priori di istituzioni dette opere delle chiese, addette appunto alla gestione finanziaria di entrate e lasciti testamentari. I romiti invece vivevano poveramente, potendo contare su qualche elemosina e i prodotti di orti, vigneti e qualche capra, nei terreni intorno i santuari. Di solito diventava eremita una persona di età già avanzata, ormai inabile ai lavori pesanti, o relativamente giovane, ma in condizione di estrema indigenza. La loro vita era quasi esclusivamente dedita alla custodia della chiesa, in quanto era loro proibito allontanarsi da essa per più di tre giorni.
Tuttavia, anche se il movente fosse il furto, è tale da giustificare un duplice delitto così efferato? Cosa può aver scatenato una tale ferocia da parte di soldati contro due uomini anziani e disarmati?
L'indagine mostra che non vi furono scassi o sfondamenti di porte o finestre: quindi i soldati molto probabilmente entrarono senza forzature. Furono fatti entrare dagli stessi romiti (accolti con “ogni umanità”, come asserisce Lombardi) o entrarono non aspettandosi di trovarli in casa (molto più probabile, dato l'abbigliamento piuttosto intimo dei romiti)? Forse questi hanno reagito arrabbiandosi dell'intrusione, scatenando la furia dei delinquenti. Forse i romiti sono stati inizialmente minacciati con le armi, Carletti (descritto come un marcantonio, tanto da essere soprannominato Fabbrone) potrebbe aver tentato una reazione, il sergente gli ha sparato, gli altri soldati hanno perso la testa massacrando Carletti e inseguendo Parodi nell'altra stanza, dove aveva cercato di rifugiarsi, ed è stato massacrato anche lui. Forse questi sbandati erano anche ubriachi. Ovviamente sono solo ipotesi: forse la verità non la sapremo mai. Ma non è detto che una ricerca negli archivi storici che conservano i documenti attinenti la guarnigione napoletana di Longone porti a nuove scoperte, dato che molto probabilmente fu avviata un'azione disciplinare contro i soldati assassini: gli atti dell'inchiesta potrebbero far luce su tutti i punti oscuri del fattaccio.
Andrea Galassi