“Ti amo, mi prendo cura di te, sei il mio bene. Ti chiedo di contraccambiare amandomi e facendo di me il tuo bene”. Possono essere le parole di un innamorato, di un mendicante di amore. Addirittura di Dio. Parole che riecheggiano mentre leggo il vangelo di oggi. Un brano che parla dell'unico “comandamento”: amare Dio con tutto se stesso e il prossimo.
Due sottolineature.
La prima. In risposta alla domanda dello studioso della Legge ebraica (lo scriba), il brano si apre con l'invito dell'Antico testamento ad ascoltare (“Ascolta, Israele!”). Solo ascoltando la sua parola che lo manifesta, è possibile conoscere e amare Dio. “Fate attenzione a come ascoltate” diceva Gesù a chi voleva seguirlo ed essere suo familiare. Pensare e parlare di Dio ignorando la parola che lo rivela non è pensare e parlare del Dio cristiano.
La seconda. Gesù riconosce la saggezza dello scriba. Eppure gli dice: “Non sei lontano dal regno di Dio”. Cosa gli manca? Manca di riconoscere che l'uomo Gesù è quel Dio di cui parla il comandamento. Perché solo mettendolo al primo posto nell'esistenza, facendone la propria ragione di vita e il criterio delle scelte, si può entrare nel “regno di Dio”. Concedersi al Dio-Amore, introduce in una vita di relazione intima e di libertà, vissuta nella fiducia (come figlio amato dal Padre) e nell'amore gratuito (come fratello di Cristo e di tutti).
Fuori dall'esperienza di Cristo, cioè dallo sperimentare il suo donarsi per me e per tutti, il cristianesimo è “solo” un insieme di valori, un umanesimo, una cultura, un'etica (un fatto positivo, come del resto ritengono molti fra cui il “serenamente ateo” Corrado Augias). Una riduzione che trascura, però, ciò che sta al centro del cristianesimo: il Cristo, la sua persona, il suo mistero, con cui confrontarsi. E' nell'incontro con il divino nel proprio essere (spirito) che avviene la trasformazione interiore, quel centro da cui scaturiscono desideri, pensieri, scelte e azioni. Alla base di tale trasformazione c'è la decisione coraggiosa di iniziare il viaggio di consapevolezza che, gradualmente, conduce alla piena maturità che san Paolo ha sintetizzato nella frase “Non sono più io che vivo ma Cristo in me”. E' il mistero dell'unione (nella distinzione) con Dio, della divinizzazione che è fine e, quindi, senso e significato della vita. Vale la pena ricordare il celebre detto del teologo Karl Rahner: “Il cristiano del futuro o sarà mistico (cioè con una reale esperienza di Dio) o non esisterà affatto”. Su questo piano, di notevole utilità può risultare la conoscenza delle altre tradizioni religiose: sufismo islamico, ebraismo chassidico, induismo, buddismo, taoismo. Un livello su cui è possibile ed efficace il dialogo ecumenico e interreligioso.
(31 ottobre 2021 – domenica 31 ordinario)
PS – In questi giorni è stata pubblicata una ricerca su fede e religiosità in Italia. Il coordinatore del progetto, il sociologo Roberto Cipriani, ha parlato di “teoria della fede incerta”. Mi sembra, da quanto letto finora, che emergano elementi utili alla comunità cristiana attualmente impegnata nel cammino, definito “sinodale”, che dovrebbe portare a scelte pastorali adeguate al nostro tempo, partendo dall'ascolto il più possibile capillare e ampio e proseguendo con il discernimento/riflessione comunitario).
Nunzio Marotti
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