Sta per concludersi l'anno liturgico. E' questa, infatti, la penultima domenica dall'inizio dell'Avvento, il tempo che conduce all'accoglienza del mistero dell'umanizzazione di Dio (Natale). Il vangelo di oggi ci pone davanti alla descrizione di eventi terribili collegati al ritorno di Cristo “con grande potenza e gloria”. Si pensa immediatamente alla fine della storia.
Ognuno si pone domande sul futuro. Anche i cristiani vorrebbero sapere di più sulla fine del mondo.
Le immagini che vengono usate, tratte dall'Antico Testamento, suscitano paura, ma il messaggio è di fiducia e speranza, con un invito alla serietà e alla responsabilità, cioè alla urgenza del presente. Solo il presente è reale; passato e futuro sono importanti ma il primo non è più e il secondo non è ancora. Alla luce di tutto il messaggio evangelico, il momento finale, il compimento di ogni attesa e di ogni promessa (che oltrepassa le attese umane), sarà l'incontro pieno con il Dio-Amore, il Dio che è comunità (Trinità). Il brano odierno si conclude con questa affermazione di Gesù: “le mie parole non passeranno”. Dio, quindi, non può che essere fedele a se stesso e, perciò, non può venir meno alle sue promesse.
Questa consapevolezza, interiore, e non solo concettuale, spinge a vivere il presente ascoltando il grido della terra e dei poveri e impegnandosi nella cura e nella condivisione.
In questa domenica, per volere di papa Francesco, si celebra la quinta Giornata Mondiale dei Poveri. L'altro ieri, ad Assisi, Francesco ha incontrato 500 poveri, provenienti da diverse aree del pianeta, e ascoltato la testimonianza di alcuni di loro. Al termine ha pronunziato un discorso. Ne riporto una parte, perché penso che l'attenzione al povero, con cui Cristo si identifica (“avevo fame e mi avete dato mangiare...”, vangelo di Matteo 25,31-46), sia elemento centrale della fede e, per questo, elemento di giudizio per la vita di ciascun cristiano, a cominciare da me. Parole adatte per il presente con le sue urgenze.
“Spesso la presenza dei poveri è vista con fastidio e sopportata; a volte si sente dire che i responsabili della povertà sono i poveri: un insulto in più! Pur di non compiere un serio esame di coscienza sui propri atti, sull’ingiustizia di alcune leggi e provvedimenti economici, un esame di coscienza sull’ipocrisia di chi vuole arricchirsi a dismisura, si getta la colpa sulle spalle dei più deboli.
È tempo invece che ai poveri sia restituita la parola, perché per troppo tempo le loro richieste sono rimaste inascoltate. È tempo che si aprano gli occhi per vedere lo stato di disuguaglianza in cui tante famiglie vivono. È tempo di rimboccarsi le maniche per restituire dignità creando posti di lavoro. È tempo che si torni a scandalizzarsi davanti alla realtà di bambini affamati, ridotti in schiavitù, sballottati dalle acque in preda al naufragio, vittime innocenti di ogni sorta di violenza. È tempo che cessino le violenze sulle donne e queste siano rispettate e non trattate come merce di scambio. È tempo che si spezzi il cerchio dell’indifferenza per ritornare a scoprire la bellezza dell’incontro e del dialogo. È tempo di incontrarsi. È il momento dell’incontro. Se l’umanità, se noi uomini e donne non impariamo a incontrarci, andiamo verso una fine molto triste.”
(14 novembre 2021 – domenica 33 ordinario)
Nunzio Marotti
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