Solstizio d’inverno. 21 dicembre, festa dei Divalia ad Angerona
Nel pomeriggio di oggi, esattamente alle 16.58, attraverseremo il solstizio d’inverno. Nel Calendario antico questo periodo è particolarmente controverso e conflittuale, come dimostrano le molte ricorrenze solari dislocate fra il 17 dicembre e il 6 gennaio. Il Natale cristiano viene a porsi come una ricapitolazione calendariale delle feste solari di questo periodo. Un concetto cronologico associato a fedi e liturgie pagane del tempo e della fertilità è stato assimilato, con qualche imbarazzo, dal Cristianesimo, che ha dovuto inserire via via nuovi significati. La religione romana antica, bollata dai cristiani e dai sussidiari scolastici come superficiale, formale e puramente liturgica, fu, in realtà, tutt’altro che banale.
Fra il 17 e il 23 dicembre si celebrava a Roma il dio Saturno, con banchetti e scambi di auguri e di modesti doni. Il termine italiano “strenna” deriva da “strena”, parola latina a sua volta derivante dall’antica lingua dei Sabini, che starebbe ad indicare il dono augurale. In questi giorni, i più brevi e oscuri dell’anno, le diverse divinità maschili infernali (Saturno, Plutone, Dis Pater) uscivano dall’inferno e vagavano sulla terra. Nella mentalità antica, ambigua per definizione e per noi quasi incomprensibile, queste divinità sono collegate sia alle anime dei defunti sia alle campagne e ai raccolti. Poiché si temeva che le loro cupe processioni potessero danneggiare il ciclo della fertilità, interrompendo il periodo del riposo invernale del terreno, si offrivano loro doni e feste per favorire il loro ritorno nell'aldilà e il ripristino del ciclo stagionale.
E’ importante, in questi giorni, il succedersi delle divinità femminili. Il 21 dicembre, solstizio d’inverno, i Romani celebravano Angerona, arcaica divinità del silenzio e degli amori segreti, raffigurata con l’indice della mano destra sulla bocca chiusa. Si pensava che con questo gesto la dea intimasse di tacere il vero nome di Roma, per tenerlo nascosto ai nemici. Il silenzio era considerato, nella mentalità romana arcaica, una grande virtù. Ma il nome di Angerona poteva derivare da “ab angeronando”, venendo associato al rivolgersi del sole: immagine che rimanda al passaggio fra il periodo del declino della luce a quello in cui le giornate tornano ad allungarsi. Ang-erona guariva dalle cardiopatie (la ang-ina pectoris). I giorni della sua cerimonia sono il “tempus in quo ang-usta lux est”, i giorni in cui si deve percorrere l’ang-usto passaggio fra la morte-buio (e le relative paure) e la rinascita-luce, ancora lontane ma già quasi percettibili. Di Angerona, divinità priva di santuari, si venerava una statua collocata nel tempio o presso l’ara di Volupia, sul lato occidentale del Palatino, presso la porta aperta verso il Tevere.
Angerona, per i suoi silenzi, doveva avere qualche connessione con la ninfa Tacita Muta, altra significativa divinità del silenzio, onorata nella circostanza di feste celebrate il 21 febbraio.
Voi direte: e che c’entra il 21 febbraio? Aspettate qualche riga e vedrete. E perché sempre il giorno 21? Aspettate il 21 febbraio e vedrete.
Tacita Muta si chiamava, in origine, Lala (dal greco lalèo, parlare). I suoi eccessivi chiacchiericci fecero infuriare Giove (avrebbe riferito a Giunone degli incontri clandestini del dio con la ninfa Giuturna), che dispose il taglio della lingua e il trasferimento della ninfa nell’Ade, sotto la scorta di Hermes-Mercurio. Stuprata da Mercurio (succedeva spesso nella mitologia antica), la ninfa generò due gemelli (i Lari). Poiché simbolo di morte e del silenzio eterno, alle cerimonie invernali in onore di Tacita Muta si unì una festività dei Morti (Feralia).
Il nome dei Lares ci porta ad un’altra divinità femminile: Acca Larentia o Larunda. Questa, in origine, potrebbe essere stata una prostituta di origini etrusche, protettrice degli umili. Divenuta ricchissima, avrebbe lasciato in eredità al popolo romano un patrimonio talmente ingente da giustificare l’istituzione di importanti feste in suo onore, le Accalia o Larentalia, celebrate il 23 dicembre al Velabro, presso la sua tomba.
Come il silenzio è il nesso fra Angerona e Tacita Muta, i Lari sono il nesso fra Tacita e Acca Larentia.
Secondo altre fonti, Acca Larenzia sarebbe stata la moglie del pastore Faustolo, che avrebbe soccorso i gemelli Romolo e Remo, salvandoli dalle acque. In questa versione la donna assumerebbe il nome di Fabula ovvero “colei che parla” (ovvero Lala-Tacita Muta? Se così fosse, si chiuderebbe il cerchio) e viene detta “lupa”, termine gergale con il quale i Romani identificavano la prostituta.
Si arriva così al 24-25 dicembre, ovvero ai due giorni in cui i Romani celebravano il Dies Natalis Solis Invicti, "Giorno di nascita del Sole Invitto", giorno che concludeva i Saturnalia. La sanzione di questa festa al 25 dicembre e, conseguentemente, del Natale cristiano, è riportata da una fonte dell’anno 354. E’ noto, tuttavia, che la festività andò a innestarsi su un culto solare antichissimo, quello di Sol Indiges.
A questo punto, tuttavia, si era già innescata, e da tempo, una catena di equivoci. I Romani pensavano, infatti, che i cristiani fossero adoratori del sole. Né i cristiani stessi contribuirono a dissipare questi equivoci: la domenica, giorno del Signore, è, infatti, anche il “giorno del Sole”, come lo chiamano già i padri della Chiesa. Ulteriori confusioni derivarono dalla scelta di celebrare la nascita di Cristo in coincidenza con il solstizio d’inverno e con il Dies Natalis del ritorno del Sole vincente sulle tenebre. E’ assai probabile che la scelta di far convergere sul 25 dicembre le diverse celebrazioni sia stata in gran parte determinata dalla necessità di decostruire il significato delle celebrazioni pagane e di assorbirle. Il forte radicamento delle feste solstiziali pagane nella mentalità e nella sfera emotiva collettiva è provato dal fatto che, ancora attorno al 460 d.C., con l’impero in via di disfacimento, il grande papa Leone, vincitore morale di Attila, doveva, suo malgrado, ammettere che alcuni cristiani, prima di entrare nella basilica di San Pietro, si volgevano verso il sole e si inchinavano…
Ricapitolando. Nel giorno del nostro Natale le divinità maschili infere vengono ricondotte nel sottosuolo e le remote divinità femminili della fertilità, silenti o tacitate, cedono il passo al ritorno di Zeus-Iuppiter-Giove, la grande divinità maschile indoeuropea del sole, del fulmine, del fuoco e della quercia. Il 24 dicembre era tradizione accendere un grande ceppo di legno di quercia nel camino. In alcune comunità si allestiscono e poi si accendono grandi cataste di legna nelle strade e nelle piazze, per festeggiare il Natale cristiano e la rinascita del sole, ancora oggi.
Passeranno alcuni giorni, comincerà l’anno nuovo. Torneranno, di nuovo, le antiche divinità femminili. Ma della Befana parleremo fra qualche giorno…
Franco Cambi