Di fronte agli eventi tragici della storia, spesso ci si riferisce a Dio per negarlo o diminuirlo o affermarlo. Nel vangelo di oggi, Gesù sposta l'attenzione su un altro elemento: occorre cambiare (“conversione”, metanoia) il modo di considerare l'esistenza e, di conseguenza, di vivere.
Mi sembra che la prima cosa da fare sia la liberazione dalle false immagini di Dio. Questo è un elemento importante nelle tradizioni religiose; nel cristianesimo il riferimento è al Dio Amore crocifisso e vivente. La parabola rinvia proprio alla pazienza misericordiosa di Dio che si attua in modo imprevedibile.
Cambiare prospettiva, ad esempio, è cogliere la corresponsabilità nella storia: attraverso le scelte, ognuno di noi partecipa alla realizzazione di un pezzo di “paradiso” o di “inferno” sul pianeta che ci è stato affidato. Superando la facile (comoda e rassicurante) divisione in buoni (noi) e cattivi (gli altri), si comincia a superare l'errore di “credere che la sofferenza sia di per sé un male. Parlando di male, pensiamo ai poveri che muoiono di fame, ai bambini che sono vittime della violenza, agli innocenti che vengono sistematicamente uccisi. In realtà il male è un altro: ciò che spinge ad affamare, violentare e uccidere” (Fausti).
Collegando queste considerazioni alle responsabilità personali, mi sembra utile riprendere le riflessioni sul male della poetessa, di origini russe, Chandra Livia Candiani: “Abbiamo bisogno di studiare il male, di non negarlo, di non farne un mostro appartato. Il male ci compete, fa parte di noi. Stanare il tiranno, il guerraiolo che c’è in noi. Non ci sono schieramenti netti, tutto è miscelato dalle cause e dalle condizioni. Così raramente siamo in contatto con la nostra brama insaziabile, di successo, di ragione, di vittoria, di accumulo, di benessere, ma è la stessa brama che governa chi invade, depreda, ammazza, non è un’altra brama, è la stessa. Non studiare il male che ci abita, non imparare ad amministrare il fuoco ci rende complici”.
Primo Levi si chiedeva perché la memoria del male non riesce a cambiare l'umanità. Restando sul piano dell'esperienza educativa, mi sembra che quasi sempre la memoria venga relegata al solo livello intellettuale, mentale. Ma questo è parziale perché la persona è corpo-mente-spirito. Da più parti e da tempo, si individua la causa del disagio personale e sociale nella mancata unificazione (scissione, separazione, non-integrazione) di queste dimensioni. L'educazione, come ricordava Gandhi, e come lui tanti altri, deve essere educazione del corpo, della mente e dello spirito (religioso o no).
Questo tempo ci interpella personalmente. Non è possibile delegare. In gioco è la propria coscienza, la cui fedeltà può riservare sofferenza. Cercare di costruire, umilmente e passo dopo passo (ma in una direzione voluta e orientante), quel mondo “altro” che è umanamente arricchente, significa anticipare scelte che altri potrebbero considerare utopiche o utopistiche. Ma l'utopia (o meglio, eutopia) è ciò che motiva a partecipare al cambiamento, che è legge di vita, al nuovo che nasce dal superamento di forme storiche che hanno esaurito il proprio ciclo. Tutto questo viene “facilitato” se non si è soli e si cammina con altri: sostenersi a vicenda nelle difficoltà del quotidiano fa affrontare la rassegnazione e la disperazione, armi proprie di quel male al quale non si vuole cedere.
(20 marzo 2022 – 3a domenica Quaresima)
Nunzio Marotti
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