Non è ben chiara la data di nascita del capoliverese. Il cognome è sicuramente romano, ma qualcuno dice che il padre sia etrusco. In ogni caso è uno dei decani della famiglia elbana. Questo dovrebbe assicurargli una certa autorevolezza. E invece no. Per i suoi parenti, il capoliverese è il cugino tonto, un po' buzzurro un po' ignorante. A ogni riunione di famiglia, alla sua entrata gli altri si danno di gomito e sogghignano.
Ha una parlata unica e caratteristica, retaggio di un'idioma pisano-lucchese che affonda le radici nel Medioevo, e che ha parlato fluentemente fino alla metà del Novecento, per poi perdere progressivamente (e disgraziatamente). Ma nonostante questa nobiltà i parenti gli rifanno il verso con un espediente, invero miserabile, somigliante a quello del razzista che fa il verso all'africano, con le c cambiate in g e le p in b. Perché per i suoi parenti il capoliverese è, per usare un altro stereotipo razzista, un selvaggio con l'anello al naso e la sveglia al collo.
Occorre anche dire che sovente è il capoliverese stesso a compiacersi di fare la parte dell'antipatico, arrivando a inventarsi un passato apocrifo. Due esempi. Va dicendo che il padre è un pendaglio da forca romano, mandato all'Elba al confino per i suoi reati. Prove storiche? Zero. Ma lo racconta così bene che ancora oggi c'è gente che ci crede. Inoltre, gonfiando il petto, asserisce che non solo Napoleone non ha mai messo piede a casa sua, ma che quando ci ha provato, lui lo ha cacciato a sassate. Poco cale se è una versione storica un po' addomesticata: il nostro simpatico furfante riesce a raccontarla sempre in maniera convincente.
Quando un viaggiatore francese, Arsenne Thiebaut de Berneaud, ha visitato casa sua, non ne ha ricavato una buona impressione. Cosa naturale, dato che i francesi hanno sempre odiato il capoliverese, forse perché mostra una contrograndeur che loro tanto detestano. Comunque Arsenne lo accusò, nell'ordine: primo, che per il capoliverese “l'abitudine a mentire impunemente sembra che abbia l'effetto di un dovere, di un bisogno”; secondo, che “a Capo Liveri il più considerato è colui che sa imporsi meglio”; terzo, che “la buona fede, che a Roma si onorava sugli altari, a Capo Liveri non presiede quasi mai alle convenzioni”. E conclude: “Totus ex fraude et mendacio compositum est. Questa reputazione è acquisita dagli abitanti di Capo Liveri da secoli”. Ma al capoliverese piace così tanto far mostra di antipatia, che quelle di Arsenne a lui suonano come adulazioni.
A questo punto potrebbe sembrare che i suoi parenti guardino con sarcasmo e sufficienza il loro cugino. E invece no. Anche se non lo ammetterebbero mai pubblicamente, dentro di loro lo invidiano. Perché sanno benissimo che è vero che il capoliverese le cose le capisce tardi, ma le capisce meglio.
C'è la sua storia a dimostrarlo. Per secoli è stato seduto su un mare di ferro di ottima qualità. Ma mentre il cugino riese, che ha un grande senso degli affari, si vendeva il suo fin dalla nascita, il capoliverese usava la sua calamita per magheggi da negromante: la legava alla coscia della partoriente per farle passare le doglie, o la usava come rimedio per ogni sofferenza, dal mal di testa all'avvelenamento. Quando, dopo la bazzecola di oltre un millennio, ha finalmente ha capito che quel minerale si poteva vendere per quello che era, una lucrosa risorsa, ha superato il riese, che ormai aveva quasi esaurito tutte le sue scorte, e si è appuntato anche lui al petto un titolo nobiliare tra i più ambiti: quello di cavatore.
Ma nel frattempo i parenti si davano alla pazza gioia col turismo. E il capoliverese, col cerino in mano, ad arrovellarsi ancora una volta su cosa non avesse capito, a differenza dei superbi cuginetti. E quando finalmente lo ha capito, come al solito li ha uccellati tutti. Il risultato? Che adesso su dieci visitatori che sbarcano sull'isola, quattro vanno a casa sua. E ancora una volta ai parenti, che si credevano più furbi e lo zimbellavano, si è spento il sorrisetto beffardo sulla bocca.
Ma dicevamo della sua contrograndeur. Perché il nostro eroe ha soprattutto un grande orgoglio di se stesso. La sua linea di paragone è tra il sublime, cioè lui medesimo, e tutto il resto. Se il capoliverese è al cospetto di una meraviglia, ti dirà per esempio: “Sì, le cascate del Niagara so' bellissime. Ma voi mette' co' Capoliveri...”. Se uno della famiglia lo invita a una festa, lui immancabilmente gli farà notare: “Sì, 'ssi stato bravino. Ma 'un c'è paragone co' le mie!”, e gliene snocciola almeno cinque che tutto l'universo gli invidia. Il capoliverese non crede in Dio, perché sa benissimo che Dio non è capoliverese.
Secondo i parenti il suo spirito libertino è infuenzato da un'ideologia anarchica. Errore. Il capoliverese, come peraltro tutti i componenti della famiglia elbana, non ha ideologie. O se le ha, sono confuse. Il suo carattere deriva semplicemente da un'insofferenza alle regole che vanno contro i suoi interessi. E per lui le regole sono sempre state seccature e gli interessi innocenti evasioni.
È questo il suo più grande punto debole, su cui preferisce glissare, a costo anche di passare davvero da cugino tonto. I suoi parenti lo usano per stuzzicarlo, sapendo che è permaloso anzichenò se lo si tocca su certe corde. Quando gli fanno notare che parte della sua casa, l'appartamento al mare e la baracca dell'orto (trasformata pure quella in appartamento, da affittare in nero) sono abusivi, lui fa finta di nulla e cerca di svicolare. Ma se lo incalzano, la butta in caciara con lo sperimentato armamentario del benaltrismo, sbottando: “E allora le foibe? E i gulag di Stalin? E le trasmissioni di Maria de Filippi?”
Conclusioni. Ai fini della nostra indagine sulla presunta scomparsa e omicidio dell'elbano, per quanto detto sopra, il capoliverese è uno dei maggiori indiziati. Sicuramente a suo favore non depone il fatto che abbia contribuito più degli altri a uccidere l'ambiente dell'isola, con una condotta edilizia a dir poco libertina. Tuttavia per i reati imputati di cui sopra, va detto che il suo spiccato individualismo potrebbe renderlo estraneo al delitto, in quanto si è sempre mostrato poco interessato agli affari generali della famiglia. Da tenere comunque sotto controllo.
Andrea Galassi