“Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita”.
Questa formula di fede risuona nelle comunità cristiane di tutto il mondo, ogni domenica e nelle feste. Oltre a pronunciarla, qualcuno (i teologi e chi legge le loro opere) ha cercato di ragionarci su, qualche volta suscitando intuizioni e percorsi.
Oltre al livello logico-discorsivo, c'è quello esperienziale. Cosa significa fare esperienza dello Spirito?
Il vangelo di oggi, Pentecoste, parla del Dio-comunità (il Padre, il Figlio e lo Spirito) che dimora in noi. Dio è ovunque, ma il fatto che sia misteriosamente presente in te e in me è davvero sorprendente.
Gesù dice che compito dello Spirito è di assistere-difendere-consolare (Paraclito), insegnare e ricordare: è maestro interiore (e qui entrano in gioco importanti elementi come la coscienza e la libertà) e ri-corda (il cuore era considerato il luogo della memoria).
Le tradizioni religiose sottolineano l'importanza di entrare al centro dell'essere, del proprio essere, oltre le costruzioni dell'ego, per liberare il proprio “potenziale creativo” (J.Main).
L'esistenza quotidiana, e lo vediamo nella storia e in questo tempo, appare molto spesso segnata dalla necessità (il bisogno) e dall'utile. Chi si trova a dover lottare giorno per giorno per soddisfare i bisogni basilari della vita o con i ritmi forsennati imposti dalla società, subisce un'occupazione degli spazi fisici e mentali tale da ostacolare l'espansione costante di questo potenziale creativo. D'altra parte, la concezione secondo cui vale ciò che è utile fa piazza pulita di gratuità, fantasia, gioco, arte, poesia e perfino filosofia. La contemplazione della natura e dell'arte e la meditazione sono considerate perdita di tempo e comunque riservate ad anime belle o strane.
A me sembra che esse rivoluzionino modi di esistere e di pensare. Da esse hanno tratto forza gli uomini e le donne che hanno inciso nella storia e nella vita degli altri.
L'orizzonte esistenziale dell'essere umano non può limitarsi alla superficie. Oggi credo che vada recuperato il senso del mistero, non come limitazione della razionalità, ma come l'oltre e il dentro che consentono di ampliare gli orizzonti. Un recupero che contribuirebbe al riconoscimento e al rispetto dell'alterità, favorendo atteggiamenti di apertura e tolleranza, o meglio, di accoglienza. Con reciproco arricchimento. La riscoperta della dimensione spirituale consente di sperimentare la sostanziale unità del genere umano e delle realtà del creato.
Tornando alla realtà (invisibile) dello Spirito, c'è da osservare che esso produce frutti visibili e che ci vengono ricordati da Paolo nella lettera ai Galati: “il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, longanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (5,22-23). In una parola: fraternità. Il contrario della vita secondo lo Spirito è l'egoismo. Di quest'ultimo, il lettore attento e curioso può leggerne i frutti ai versetti 19-21, applicando ove e come crede al tempo presente.
(5 giugno 2022 – Domenica di Pentecoste)
Nunzio Marotti
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