Riassunto delle puntate precedenti. Un detective sta indagando sulla presunta scomparsa e omicidio dell'elbano. Sospettati i parenti. E se ancora non avete capito nulla di questa storia e dei suoi nonsense, non vi preoccupate: siete già vittime del genocidio culturale borghese.
La nascita del marcianese è incerta. Ha un cognome romano, e il padre potrebbe chiamarsi Marcius. Ma è meglio non addentrarsi in questioni di incerte paternità, chissà come vada a finire.
Anche lui è comunque uno dei decani della famiglia. Ma, sarà per il suo carattere tranquillo, a differenza del capoliverese e del riese è un po' più stimato dagli altri cugini. La sua tranquillità, anzi, è proverbiale. Quando Cerbone si trova la casa di Populonia svaligiata dal longobardo, cosa fa? Si rifugia nella sua quieta casa. Quando i principi Appiani mollavano Piombino per prendersi du' giorni di villeggiatura, dove andavano? Nella sua quieta casa. Quando Napoleone, stufo dell'afa e del pettegolo ferajese, si voleva fare una sgambatella (o meglio, la faceva fare al suo cavallo), dove si recava? Nella sua quieta casa. Perché il marcianese si farebbe in quattro per farti star bene. Al pari del fratello pucinco, il turismo lo fa ai suoi ritmi, senza gradassate alla capoliverese o campese.
Il marcianese è un tipo tranquillo, ma questo non vuol dire che sia passivo. Anzi della famiglia è quello che ha sempre mostrato una certa arditezza. Tra cugini che si sono costruiti la casa al mare o poco sopra, nella bizzarra convinzione che sopra i 200 metri di quota l'ossigeno scarseggi; il nostro, insieme al fratello pucinco, si è costruito la magione ad alta quota, superando perfino l'asticella dei 300 metri. È vero, nasce il sospetto che i due fratelli fossero in competizione. Ma alla fine l'ha spuntata il marcianese di appena 25 metri: 375 a 350.
E ce l'ha davvero messa tutta. Il pucinco si è accoccolato su un gradino di roccia, tra i fianchi del monte Capanne. Il marcianese invece ha arpionato la sua casa su una penta scoscesa. Tanto che per ricavarci almeno qualche piccola piazza, ha dovuto scalpellare granito a tutto spiano. Se vuole andare dal soggiorno alla cucina, deve scarpinarsi almeno trenta metri di scalinata.
Ma queste sono bazzecole che non spaventano il marcianese: uno che ha come titoli nobiliari il contadino, il pastore e il carbonaio, e li deve mettere in mostra su pendici arcigne, le sfide le prende di petto. A casa sua occorre avere la vista buona: per vedere più lontano sull'orizzonte marino, e per stare col naso all'insù per vedere che tipo di nuvole arriva dall'altro versante del monte Capanne.
Non si capisce davvero perché Emanuele Repetti abbia tanto in uggia il delizioso casamento del nostro eroe, scrivendo: “non però bello, né ben fabbricato, cui concorre a renderlo tetro il cupo colore del pietrame scavato dal grande scoglio di quel monte di granito”. Chi lo visitò con più cura, come Giovanvincenzo Coresi del Bruno, ne ebbe un'altra impressione. È vero che da uno aduso a sniffare i muri c'è da diffidare, ma almeno stupisce il lettore, affermando che quelli della chiesa del marcianese profumano di viola.
Altro aspetto del carattere del nostro eroe che dimostra come la sua tranquillità non faccia rima con passività. Il marcianese è uno dei più devoti della famiglia: i precetti cristiani li ha imparati alla perfezione. Tranne uno: porgi l'altra guancia. Se al marcianese entri con protervia e arroganza in casa, ti smolla una randellata che la metà basta. Salvo poi correre in chiesa a confessarsi. Ecco due esempi sommamente significativi.
Nel 1799 il francese pensa di trattare lui e i cugini come pezze da piedi. Ma con chi fa il bullo impunemente, il marcianese si scorda di essere un pacifico montanaro. Agguanta il forcone che usava per il fieno, enfia le gote e suona la tufa per chiamare a raccolta gli armati, e parte lancia in resta. Corca di mazzate il transalpino e lo ributta in mare. E indi che fa, a differenza dei cugini? Sale dall'adorata Madonna del Monte, le chiede perdono offrendole le armi in voto, un paio di ave Maria, mi pento e mi dolgo per il sangue versato etc. etc., e torna la candida pecorella timorata di un mese prima.
Secondo quadro. Angelo Mazzei scopre che nel 1742 a rompere l'anima del marcianese ci pensa l'inglese, razziando a man salva la casa del nostro e i suoi fratelli. E anche qui il marcianese si scorda i precetti cristiani e randella come un assatanato il lestofante albionico. Non a caso nello stemma nobiliare ha l'arme di due martelli che pestano un'incudine. Ma poi, al solito, si contrista e si conduole, e manda una lettera lacrimevole al vescovo invocando miserere e pene accessorie per salvarsi l'anima. Perché il marcianese è così: non teme i perigli terreni, ma l'inferno sì.
Tutto ti aspetteresti dal marcianese, meno che si bei di una nobile passione, rilevata da Luigi de Pasquali, che infatti ne riferisce in una guida turistica di molti anni fa. Il nostro eroe ama adornare casa sua di fiori. È questo un particolare che pochi notano. Anche perché alquanto atipico in famiglia. La passione di ingentilire la dimore con bei balconi e vie infiorate, il marcianese la coltiva solo col fratello pucinco, e i cugini santilariese e riese. Ovvero quelli che si sono fatti le case in collina. Ma non il cugino capoliverese, e men che meno tutti i cugini che si sono fatti la casa al mare. Le indagini condotte dal vostro affezionatissimo detective portano a una conclusione indubitabile: i membri della famiglia irrimediabilmente corrotti dalla ricchezza turistica schifano i fiori. Grazie al marcianese e agli altri citati parenti ci resta una speranza: il senso della bellezza non è del tutto perduto.
Conclusioni. Ai fini della nostra indagine sulla presunta scomparsa e omicidio dell'elbano, il marcianese è un enigma. Ha un carattere tranquillo e devoto, ma solo all'apparenza. Potrebbe essere quindi capace di un folle gesto. Specie se scoprisse che Dio si è distratto un attimo. Da tenere dunque sotto controllo.
Andrea Galassi