Riassunto delle puntate precedenti. Un detective sta indagando sulla presunta scomparsa e omicidio dell'elbano. Sospettati i parenti. E la polizia brancola nel buio. Che c'entra una cippa, lo so, ma sono quelle frasi che fanno effetto.
Può sembrare incredibile, ma ci sono stati anni in cui in Italia si cantava con la bocca del santilariese. È vero che il nostro umile eroe ha coltivato, come i cugini, titoli nobiliari quali contadino, pastore e carbonaio, che non richiedevano eccezionali talenti libreschi e intellettuali. Ma è forse il rampollo di famiglia che più di ogni altro ha saputo stupire per doti umanistiche.
Ebbene, dalla sua schiatta, in breve torno di tempo, sono usciti due incliti campioni del nostrale ingegno: il compositore Giuseppe Pietri e l'intellettuale Pietro Gori. Il primo ha fatto cantare e stornellare un'intera epoca, e il secondo ci ha insegnato che gli ultimi dovrebbero avere pari dignità con i primi, spesso prestando la sua parola al canto.
E non potevano che appartenere alla progenie del santilariese. Per due ragioni. La prima è che in una famiglia canterina e amante della carola, nessuno quanto il santilariese e il germano sanpierese ha mostrato una vasta varietà di canti e stornellate rustiche e popolari. Non è un caso se delle tradizioni del maggio e delle processioni (mirabile quella dell'Accolta), a metà tra la funzione sacra e il certame giocoso, i cugini abbiano fatto strame, ma seguitino a vivere tra i nostri due eroi. Il gusto della musica è dunque una seconda natura del santilariese.
L'altra ragione è che nella chiesa della villa del santilariese sono passati preti di profonda erudizione. Cultori di storia e archeologia, conoscitori di musica, provetti di materie letterarie. E, cosa di non poco momento, bei tomi sempre pronti alla burla. È ovvio che quando il santilariese parlava con questi prenci della cultura, apprendeva i più fini concetti.
Questa mirabile combinazione tra culture alta e bassa (qualunque cosa significhino, come ci insegna Umberto Eco), non poteva che forgiare un animo sublime, quale quello del santilariese. Se si vuole studiare l'elbanità, sia nella sua forma più dotta che in quella più contadinesca, il nostro eroe è un ottimo soggetto di disamina.
Anche nel suo caso non sappiamo chi fosse il padre. Abbastanza a sorpresa il santilariese dice che fosse il longobardo. Ma viene il sospetto che il suo sfoggio di cultura questa volta sia invero riflesso di vanità: voleva in pratica distinguersi dai parenti. È molto più probabile che il genitore fosse il pisano. Che gli regalò una bella chiesa, che oltretutto gli dà il nome. Ma lui ne occultò (non del tutto, invero) le forme avite, rimaneggiandola in linee barocche, forse proprio per confondere le idee ai parenti, e quindi accreditarsi meglio la più antica presunta genitura.
Oggi il santilariese è un tranquillo vecchietto che si gode la calma della sua bella casa. Anche lui infatti ha provato a fare turismo, ma non è riuscito a reggere i ritmi dei germani: né del sanpierese, né men che meno del fratellino campese. Questo ha salvato le forme della magione, una delle più intatte della famiglia. E il nostro si bea di accogliere il passeggere che arriva per camminare sui bei sentieri del monte Perone, o pedalare sulle strade più tranquille e belle per i ciclisti.
Conclusioni. Ai fini della nostra indagine sulla presunta scomparsa e omicidio dell'elbano, per quanto il vostro affezionatissimo detective mostri simpatia anche per questo personaggio, l'inchiesta richiede freddezza, e impone di dire che è sì agli ultimi posti della lista dei sospetti, ma c'è. È vero che oggi è piuttosto tranquillo, ma è pur sempre fratello del campese e del sanpierese, tra i massimi indiziati del delitto. Potrebbe quindi essere un complice o un testimone reticente. Da tenere dunque sotto controllo.
Andrea Galassi