A Rio nell’Elba, nei locali della Pro Loco, in via Garibaldi, è in atto dall’8 dicembre e per tutto il periodo natalizio, la splendida mostra “La Storia nel baule della nonna”, organizzata dal Comitato Feste e tradizioni di Rio nell’Elba “Donne5.0”.
In due ampi locali, allestiti con grande cura e buongusto, e arricchiti da bei mobili antichi, quadri, suppellettili, serviti in porcellana, lavabi e brocche in ceramica fiorita, si dipanano ai nostri occhi i tesori dei corredi d’antan: camicie da notte e biancheria intima finemente ricamate, lenzuola, federe, tende, tovaglie, asciugamani con raffinati inserti di pizzo macramè o chiacchierino, indumenti da neonato ed eleganti abiti da sposa leggeri come nuvole. Almeno tre generazioni di donne – da inizio ‘900 agli anni ’70 – hanno nel tempo lavorato a tali manufatti: fidanzate, intente a preparare il corredo di spose, chine sul cucito con i loro visi freschi di gioventù, le capigliature nere, lo sguardo attento a non sbagliare il punto pieno, il punto a giorno, sognando l’innamorato o semplicemente l’amore; spose in attesa di un figlio, alle prese con i camicini, i bavaglini, la fasce a cui mettere le cifre, le scarpine da neonato, scegliendo tra le matassine da ricamo, i colori neutri da usare, il verde chiaro, il giallo pulcino – sarà maschio? sarà femmina? – piuttosto che il rosa o il celeste. Ma anche le donne mature e le nonne – sempre che la vista reggesse, così come la fermezza dell’ago – avranno continuato a produrre tesori, con le loro mani di fata, tramandando quell’arte bella e faticosa, sorvegliando le più giovani, le più svogliate, e tirando su, a forza di orli a “giornino”, le bambine, destinate, come quasi tutte, a diventare ricamatrici più o meno provette.
E ce le immaginiamo le “scuole di ricamo” che esistevano in ogni paese, con la maestra e le sue allieve, dove non solo si imparava a prepararsi il corredo, ma anche a “stare al mondo”: consigli di vita, rimproveri, incoraggiamenti, commenti alle notizie belle o brutte ascoltate alla radio, valutazioni di un romanzo di Delly o di Liala appena letto, racconto dell’ultimo fotoromanzo di “Grand Hotel”, fatti di paese, pettegolezzi, confessioni, confidenze, risate e lacrime.
In una società dove fuori dalle mura domestiche lavoravano soltanto le più povere – le lavandaie ai Canali, le donne di servizio nelle case dei notabili del luogo – o le più fortunate – le maestre –, mentre gran parte del microcosmo femminile si poteva vantare di essere mantenuta dal marito – operaio, marinaio, impiegato, commerciante –, la dedizione al ricamo o al confezionamento di biancheria da tavola o da letto era considerata un’arte nobile e dignitosa, da insegnare alle generazioni più giovani e attraverso cui lasciare, almeno alla famiglia e agli eredi, la traccia gentile del proprio passaggio nel mondo.
Maria Gisella Catuogno