Quell’anno le pistole dei cauboi non andavano più di moda, il sogno di tutti noi era che la Befana ci portasse una colt da gangster a tamburo, nera, di fero, canna corta e calcio zigrinato. Qell’anno ci sentivamo tutti un po’ Al Capone, forse per qualche film che non ricordo, forse perché le colt erano in bella mostra nelle vetrine a un prezzo per noi proibitivo. Tutti volevamo la rivoltella dei gangster ma sapevamo che la befana che distribuiva la Provincia all’Asilo, che era dove ora c’è la caserma dei carabinieri, ci avrebbe portato, se andava bene, una pista per le macchinine e la solita calza rossa trasparente con dentro noci, pistacchi, caramelle, qualche cioccolatino e un pezzo di cabone di zucchero.
Quindi ci rimanemmo parecchio male quando il 7 gennaio, mentre facevamo capannello raccontandoci la nostra delusione senza pistole, Roberto Pitturino si presentò in piazza di sopra con in mano la rivoltella dei nostri sogni che tutti soppesammo, provammo a vuoto, commentammo con invidia. Poi qualcuno di noi, penso Massimo Allori, al secolo Fosmiche, disse che quelle pistole di fero potevano essere trasformate in pistole vere bastava fare delle modifiche e sparava davvero, mica fulminanti: pallottole. Nessuno di noi ci credeva davvero e in diversi dicemmo che una pistola modificata sarebbe scoppiata in mano a chi sparava.
Pitturino, che aveva quasi subito recuperato la colt dalle nostre avide mani, ci ascoltava attento, convinto anche lui che la modifica fosse possibile. Poi tutti ci dimenticammo di tutto, o almeno lo credevamo, e la rivoltella dei gangster rimase nei nostri desideri e nella nostra invidia quando vedevamo gli altri bimbi che se la potevano permettere giocare a guardia e ladri sparandosi per finta.
La pistola di Pitturino ricomparve qualche settimana dopo in un modo che nessuno si sarebbe aspettato.
Era probabilmente carnevale (ma può darsi che la memoria mi giochi uno scherzo) e noi eravamo lì che studiavamo il modo di combinarne qualcuna grossa, parte immascherati e parte (noi) senza maschere ma dotati di manganelli di plastica tipo clave preistoriche che quando li davi in capo a uno facevano un fischietto buffo, solo che noi li riempivamo di rena e facevano male. Doveva essere il periodo in cui tutti avevamo il ciondolo della morte secca in vacanza, uno scheletrino di plastica dinoccolato che vendeva al mercatino il Paci, un livornese grande e grosso parente della mi’ nonna Consilia (a me l’aveva regalata).
Mentre eravamo lì in conciliabolo, Pitturino sbucò da via Mentana, dove c’è il macello Citti allora di Umberto, venne verso di noi che eravamo di fronte al forno di Ida e Nilo e estratta la sua colt sparò a Fosmiche che, girato di spalle, non lo aveva nemmeno visto arrivare. Massimo crollò a terra. Robero lo guardo sbalordito del risultato del suo esperimento, sbiancò e scappò mentre Fosmiche a terra si contorceva. Pitturino aveva sparato a Fosmiche! E Pitturino sapeva bene due cose: per settimane non si sarebbe parlato d’altro e che le avrebbe prese grosse dal su’ babbo. Davvero grosse.
Le cose erano andate così: dopo la discussione epifanica sulle modifiche della colt, Pitturino era andato dal su’ cugino Claudio Berti, che allora chiamavamo Archimede perché come Archimede Pitagorico (quello di Topolino non quello greco di Siracusa del quale non sapevamo e non ce ne importava nulla) era un inventore in grado di modificare tutto e insieme avevano fatto quello che ritenevamo impossibile: trasformare la rivoltella giocattolo in una roba che sparava un proiettile che infatti ritrovammo deformato dietro a Fosmiche accasciato a terra.
A Fosmiche restò un bel livido dietro il groppone (e gli sarebbe potuta andar peggio senza lo strato di maglioni e il cappotto), Pitturino le prese grosse e restò parecchio in castigo, Fosmiche guarì prestissimo e diventò una specie di eroe sopravvissuto, noi facemmo finta per qualche giorno di essere indignati con Roberto per quello che aveva combinato… ma era tutta invidia: una pistola da gangster che sparava per davvero la volevamo anche noi.
Ora vi chiederete come ho fatto a diventare pacifista. Non lo so nemmeno io.
Umberto Mazzantini