Nel Mediterraneo durante tutto il XVI secolo, Islam e Cristianità, pur combattendosi aspramente, si scambiano ambasciatori, si firmano trattati, osservandone i dettami; sia nel mar di Levante dove è la potente flotta turco-barbaresca, sia nei mari occidentali dopo la presa di Algeri da parte di Carlo V.
La pirateria continua a sussistere: galere e galeoni di ‘ponentini’ attaccano e depredano navi turche o ebree, veneziane e marsigliesi. Si combatte contro il brigantaggio marittimo una vera e propria guerra con vittorie e rovesci da una parte e dall’altra.
Corsari e pirati si affacciano all’Elba in vari periodi, ma il maggiore pericolo per le popolazioni delle coste tirreniche avviene durante questi due secoli, XV e XVI, quando si combatte una guerra marittima totale per la supremazia nel Mediterraneo.
Cosimo decide di creare un'istituzione religiosa e militare con carattere sovraregionale in cui è stabilito “(...) che i nostri Cavalieri non possano intromettersi né andare ad imprese di guerra che fanno i Cristiani l’un contro l’altro” e di essere in piena efficienza bellica per combattere contro qualsiasi nave battente bandiera corsara o con la Mezzaluna. In conformità a questi presupposti, il Sacro Ordine Militare di santo Stefano è approvato con bolla pontificia di Pio IV, nell’ottobre 1561. Sede accademica e religiosa dell’Ordine diviene la piazza dei Cavalieri in Pisa mentre base navale diviene
la nuova e ben fortificata città portuale di Livorno, i cui lavori di edificazione sono terminati da Ferdinando I de’ Medici. È abbandonata l’idea originaria che l’Ordine fosse stabilito a Cosmopoli e quella di entrare in possesso dell’intera Elba.
Pur ridimensionata, Cosmopoli rimane potente baluardo contro la pirateria, contro le flotte di nazioni nemiche e soprattutto base per le galere e le galeazze dell’Ordine.
Il Medici, fondatore del Sacro Ordine Militare di Santo Stefano, allestisce una vera e propria marina da guerra toscana, che partecipa brillantemente alle imprese di ‘Monastir’ e di ‘Africa’, subendo sconfitte a ‘Djerba’ e a ‘Giannutri’. L’arma marittima che costituisce un vero capolavoro di tecnologia navale è la galera: essa ha nella velocità, nell’armamento e nell’efficienza nautica quelle qualità militari che la rendono efficace quanto le contemporanee navi da battaglia genovesi e veneziane.
Galera dei Cavalieri di Santo Stefano
Le caratteristiche delle galere stefaniana sono lo scafo lungo fino a cinquanta metri, con una larghezza di sei-sette che le rende molto agili e manovriere. Sono spinte da trenta lunghi remi per bordo, con banchi di voga di sei-sette galeotti, liberi o schiavi e da due lunghe vele latine i cui colori ‘a bande’ sono il giallo-arancione e l’azzurro. Quest’imbarcazione sfrutta al meglio il vento, con velatura da crociera, ma in battaglia e a favore di vento la sua velocità può aumentare notevolmente. Ha un
temibile armamentario costituito da un grosso cannone prodiero, ‘da corsia’, due cannoni ‘petrieri’ dai dodici ai quattordici pezzi minori, detti ‘smerigli’ e infine è dotata dallo ‘sperone prodiero’, col quale si aggancia lo scafo nemico, per l’abbordaggio. Ha un equipaggio costituito da cavalieri dell’Ordine armati di fucili e grosse spade e di numerosi marinai pronti anch’essi alla lotta all’arma bianca. Questa vera e propria meraviglia navale è un capolavoro artistico, decorato da altorilievi, fanali dipinti, bandiere e fiamme finemente lavorate e dorature imponenti. Più volte, sia le galere sia le galeazze, servono come navi da trasporto per re, principi e cardinali.
I cavalieri di Santo Stefano che, per oltre un secolo e mezzo continuano a incrociare le armi con le flotte turche e barbaresche, hanno il loro momento, la loro partita d’onore nella battaglia di Lepanto, nel 1571. In quella memorabile data le galere stefaniane si distinguono: la formazione prevede lo schieramento delle navi cristiane in diverse squadre, contraddistinte da differenti colori di battaglia.
Nella squadra ‘gialla’ è la galera chiamata ‘Elbigina’: in quel tempo nei documenti fiorentini gli abitanti dell’isola sono chiamati ‘Elbigini’.
Battaglia di Lepanto, ottobre 1571
Un nucleo di marinai, maestri d’ascia, ‘calafati’ e cantieristi prendono domicilio a Cosmopoli; molti di essi sono di origine greca e imbarcati nelle galere toscane. Le galeazze, simili alle galere, ma più pesanti e meno agili, sono utilizzate come navi da trasporto truppe e da sbarco.
A Cosmopoli si edificano due grandi arsenali capaci di contenerle che servono sia per i lavori cantieristici, il ricovero e la loro manutenzione. Questi locali ancora oggi portano il nome di quelle storiche navi: ‘le galeazze’ e una lapide commemorativa, recentemente apposta a cura del Sacro Ordine Militare di Santo Stefano, ricorda tale memoria.
Il periodo di attività militare dei cavalieri di Santo Stefano si svolge fino alla prima metà del Settecento, quando la casata dei Medici scompare con Giangastone, nel 1737.
Tornando agli atti di guerra marittima che avvengono sull’Elba e sull’Arcipelago, nel 1543,‘Kahir adDin’, detto ‘il Barbarossa’, il temuto ammiraglio in capo della flotta ottomana, dopo la grande impresa di portare le proprie navi all’interno dell’Adriatico, fino alle soglie di Venezia, sfidando le flotte veneto-imperiali, dirige la sua immensa squadra navale verso le rive della Toscana, attaccando le coste
del Lazio, l’isola del Giglio, sbarcando un numeroso corpo di spedizione nel versante Riese, distruggendo Grassera o Grassula deportando gran parte della popolazione.
Ancora nella metà del XVI secolo, agli inizi di primavera, il ‘Barbarossa’ al comando di un’imponente flotta turco-barbaresca fa vela verso i nostri mari, attacca di anno in anno diversi obiettivi sulle coste meridionali d’Italia, su quelle tirreniche, quelle adriatiche, fino alle coste francesi e a quelle spagnole, isole comprese. Nel 1553, un’imponente flotta si mette alla fonda nell’insenatura di Mola, presso Longone e sbarca migliaia di uomini, che devastano Capoliveri, il Giogo, Campo, Pomonte, fino ad affrontare l’obiettivo principale: il sistema fortificato di Cosmopoli, difeso da navi e truppe fiorentine e toscane.
Il terribile corsaro è morto, ma ha lasciato il comando a un altro leggendario comandante: il ‘Dragut’ o ‘Dorgut’, d’origine greca, di cui lo stesso Kahir ad-Din aveva trattato personalmente la liberazione, pagandone il riscatto dai banchi di voga di una galera genovese.
L’anno successivo la flotta piratesca, scortata da cinque galee francesi, arriva nel Canale di Piombino e approda in giornata nella rada di Ferraja-Cosmopoli. Dragut si ferma con un’intenzione particolare.
Egli chiede all’Appiani la restituzione di un giovanetto, Sinaan, nato dalla relazione di un suo ammiraglio con una donna elbana, rapita e ridotta in schiavitù, poi liberata dall’Imperatore Carlo V nella spedizione di Algeri. Se tale richiesta non è ottemperata, egli metterà a ferro e fuoco i possedimenti costieri e insulari del signore di Piombino. Non avendo alcuna risposta, il corsaro fa sbarcare le sue truppe e attacca e distrugge l’antico insediamento di Luceri, un insediamento su una collina prospiciente la rada di Cosmopoli mettendo sotto assedio il castello del Volterraio. Di fronte a tanta morte e distruzione, l’Appiani acconsente alla restituzione del giovinetto e il Dragut libera tutti i prigionieri altrimenti destinati come schiavi sui mercati di Barberia.
Ottenuto, quanto voleva, fa vela verso Levante, senza attaccare il baluardo mediceo.
Il solo affacciarsi dei suoi legni di fronte alle isole e alle città costiere, in quella spedizione come nelle successive, è sufficiente all’ottenimento di laute ricompense in oro e gioielli, in cambio di un suo rapido cambiamento di rotta, verso il mare aperto.
Alessandro Canestrelli
Veduta di Portoferraio, Particolare da un disegno del XVII secolo
Nella foto di copertina: Cavalieri dell’Ordine di Santo Stefano e Marinari