Egr. Direttore,
Innanzitutto, voglio fare pubblicamente i complimenti all'amico, nonché compagno di "fede azzurra", Nunzio Marotti per l'eccellente articolo, pubblicato su questo giornale, sul gioco del calcio e dintorni. È una riflessione magistrale sul senso di Appartenenza, fatta da un vero maestro.
Il seguente invece vuole essere in qualche modo complementare, dove mi soffermerò maggiormente sull'aspetto socio-economico e sportivo.
Che cosa ci "racconta" questo scudetto che sta arrivando? Che in Italia c'è qualcosa di nuovo, dopo tanti anni di dittatura calcistica dicotomica tra le piazze di Torino e Milano.
Napoli si riaffaccia di nuovo alla grande (dopo tanti, troppi anni) sulla ribalta sportiva nazionale.
Ma questo Napoli è uno "strappo" rispetto al passato.
Il Napoli di Maradona era innanzitutto il prodotto di un "miracolo" economico della società sportiva: un'operazione geniale ma di pancia, al di sopra delle proprie capacità economiche, che avrebbe pagato a prezzo altissimo nel lungo termine attraverso il successivo fallimento. Dall'altro lato, l'azzardo economico provocò però la più grande rivoluzione calcistica italiana, grazie proprio all'immenso talento del suo calciatore simbolo. Diego divenne il "Che Guevara" del pallone. Mantenne le sue promesse, in una città e in un paese che le tradisce sempre: in quei magici 7 anni napoletani trasformò gli eterni perdenti in vincenti e gli eterni vincenti in perdenti. Resta ancora oggi un'impresa difficilmente ripetibile.
Invece, questo Napoli che si accinge a diventare Campione d'Italia è molto diverso.
Il successo di questa grande squadra, guidata con saggezza e maestria dal toscanissimo Don Luciano Spalletti da Certaldo, è un punto di discontinuità con la recente storia di Napoli e con la sua marginalità nel Paese.
Il Napoli di oggi è un’impresa costruita sui valori concreti del fare, attraverso un progetto visionario e razionale insieme, frutto di una paziente programmazione e di investimenti oculati nel rispetto degli equilibri di bilancio. Sono stati fatti anche molti sacrifici, come rinunciare ad ingaggiare campioni affermati, perché non si poteva vivere al di sopra delle proprie possibilità economiche. Proprio questa strategia alla lunga si è rivelata vincente, anche perche basata su di una solidissima organizzazione tecnico-societaria presieduta da un imprenditore di razza, che spesso non è stato capito dalla piazza. La SSC Napoli viene ora elogiata e persino studiata come una "eccellenza aziendale", da prendere a riferimento, soprattutto da autorevoli giornali stranieri, che giudicano senza il condizionamento del target dei loro lettori-tifosi, come spesso fanno i giornali sportivi italiani.
I risultati raggiunti hanno confermato tutto ciò: negli ultimi dieci anni il Napoli si è classificato 4 volte al secondo posto e 3 volte al terzo posto, è la squadra italiana che presenta la striscia più lunga di partecipazione consecutive alle Coppe europee. Un traguardo in un certo senso "poco napoletano", tanto per richiamare i preconcetti e i luoghi comuni tanto cari ad una parte di coloro che abitano nel nord del Bel paese.
Questo è dunque un Napoli diverso, di rottura col passato.
Le imprese sportive di Diego & Co. riscattavano la subalternità di Napoli assediata dalla camorra e funestata dal terremoto, tradita dalle tante promesse mai mantenute dell’interventismo pubblico e dalla crisi della prima repubblica.
Osimhen, Kvara, Kim, Raspadori, Meret, Politano, il magnifico Capitano Di Lorenzo e tutti gli altri campioni, non hanno nulla da riscattare, poiché Napoli oggi non è una periferia dell'Italia, piuttosto un’isola felice, anche invidiata, che (come ha detto qualcuno) "vive di tempi e attese non più in connessione con il resto del Paese".
Questo scudetto ha dimostrato che anche al sud è possibile, mi perdoni il gioco di parole, fare grande impresa e grandi imprese!
Un'ultima considerazione, più prettamente sportiva.
Questo scudetto ci ha regalato anche un'immagine poetica, che solo la magia del calcio (e dello sport in generale) sa offrire, legata alla recente vittoria del Napoli in casa della Juventus. Al gol vincente di Raspadori, tutti i compagni di squadra corrono verso di lui per abbracciarlo, tutti tranne uno: il veterano Zielinski, che aveva resistito più volte alle "sirene inglesi" credendo nella bontà del progetto napoletano. Lui non ce la fa, crolla a terra per l'emozione perché sa ormai di aver raggiunto un obiettivo a lungo perseguito! Lui che ci aveva provato già tante volte in questi anni, sfiorandolo solo quello scudetto, soprattutto nel 2018 quando fu beffato nonostante i 91 punti fatti dal Napoli (record storico per una seconda classificata). Si sdraia stremato ma felice come un bambino, di spalle, sul terreno bagnato, allarga le braccia e si lascia bagnare da quella pioggia "battezzatrice". Nel terreno trova la gioia che provano gli uomini a guardare il cielo faccia a faccia. È un'immagine meravigliosa. È un modo per dire a sé stesso che quella corsa infinita e logorante non è stata vana, sono gli stessi sentimenti che stanno provando ora milioni di tifosi azzurri sparsi per il mondo. Grazie Pietro, ci siamo commossi insieme a te! E' la scena simbolo della serata e, forse, dell'intera stagione del Napoli, che resterà nella Storia. Una scena che non dimenticheremo, è il cerchio che finalmente si chiude, è il lieto fine della favola più bella!
Ora si deve solo aspettare... Parafrasando due miti di una cultura ultra millenaria:
"Amà, sta passanno 'a nuttata!" (Cit.)
"Cari napoletani, prima di uscire a festeggiare, ricordatevi di chiudere l'acqua e il gas!" (Cit.)
Antonio Pezzullo