Per molti, soprattutto del nostro mondo “sviluppato”, il vangelo di questa domenica risulta irritante, sconvolgente, ingiusto. Siamo abituati a ragionare in termini di “merito” e il comportamento del padrone della vigna è inspiegabile. Se poi, l'agire di quest'uomo è utilizzato dal Cristo per parlare del regno dei cieli e, quindi, di Dio, allora si entra in confusione.
Ogni persona religiosa ha nella mente un'immagine di Dio, che si è formata attraverso l'educazione e le esperienze. La visione della realtà e il comportamento discendono da tale credenza. Restando in ambito cristiano, è chiaro che questa parabola mette in crisi l'immagine distorta del Dio-ricompense-e-castighi. Un'idea che scorgiamo in alcune pratiche devozionali che, in maniera non intenzionale, rischiano di instillare il veleno della meritocrazia.
La parabola va al cuore del messaggio evangelico: il proprio di Dio è la misericordia. All'accusa di ingiustizia (dare a tutti la stessa “ricompensa”, sia a chi ha lavorato la giornata piena che a chi soltanto un'ora), la vera difesa è che ama fino alla fine tutti e ciascuno perché è amore gratuito, è Padre-Madre. Non può venir meno a se stesso, non può fare diversamente: il dono è uguale per tutti, perché dona tutto se stesso e non può dare di meno!
Gli uomini e le donne, che accolgono il Dio scandaloso (Bianchi) mostrato da Gesù e si aprono al suo Spirito d'amore, agiscono in modo rinnovato nella società sviluppando creativamente questa logica di giustizia nuova (come è stato detto anche nelle scorse settimane, a proposito di correzione fraterna e di perdono).
Tutto questo si traduce nel far sì che ogni essere umano, a cominciare dai più fragili (nelle diverse fragilità esistenti e sempre diverse per condizioni e età), si senta amato, cioè considerato, stimato, incoraggiato e aiutato a sviluppare le proprie possibilità.
Tornando al discorso sul merito, mi sembra opportuno riprendere una riflessione dell'economista Luigino Bruno su quella che definisce l'ideologia del merito, che non farebbe altro che dare legittimità all'etica della disuguaglianza, arrivando perfino a colpevolizzare i poveri in quanto “demeritevoli”. Infatti, “un sistema sociale che premia chi è già capace non fa altro che lasciare sempre più indietro i meno capaci, che in genere non sono tali per demerito, ma per le condizioni di vita”. Questo lo aveva capito don Lorenzo Milani tanto da dire che non si può fare parti uguali fra disuguali. Egli “sapeva che i suoi ragazzi di Barbiana non erano demeritevoli: erano soltanto poveri; non erano colpevoli, erano soltanto poveri”.
Sono parole (altre le riporto in fondo) che dovrebbero farci riflettere e dialogare sul tipo di società (aperta/chiusa) che stiamo costruendo.
(24 settembre 2023 – 25^ domenica ordinario)
PS – “Gli amanti del merito dicono: «il merito non è solo talento, è una combinazione di talento e impegno, perciò quello che si premia è l’impegno personale». Questi meritocratici dimenticano però l’elemento cruciale: anche potersi impegnare non è merito, è soprattutto dono. Tornare a casa da scuola e avere tempo per fare i compiti, invece di dover lavorare, non è un merito. Se siamo onesti, dobbiamo riconoscere che ciò che siamo e diventiamo è per il 90% dono e per il 10% merito; la meritocrazia, invece, ribalta questa percentuale, e fa di quell’esile 10% la pietra angolare dell’edificio della giustizia.” (Luigino Bruni)
Nunzio Marotti
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