Nascendo riceviamo la vita e le capacità per affrontarla. Il vangelo di questa domenica riporta la nota parabola dei talenti, il cui obiettivo è far comprendere che la vita e gli altri doni vanno messi in gioco per portare frutti, cioè espandere vita. E ognuno è chiamato a fare bene ciò che può. “Dio ci ha fatto un dono, l’amore che Dio ha per noi, tutto ciò che siamo: questo dono va raddoppiato nella risposta d’amore. E nell’amore verso l’ultimo noi raddoppiamo il nostro talento, abbiamo l’olio [v. la parabola delle vergini della scorsa domenica], il dono dello Spirito e la nostra vita è divina” (S. Fausti).
Occorre onestà e sincerità, da una parte, per riconoscere ciò che si è e si ha e impiegarlo con serietà e serenità, e, dall'altra, per superare la logica del confronto che può portare a invidia o rancore perché ci si sente (immotivatamente) privati di qualcosa. Nessuna persona è talmente povera da dover essere considerata inutile o da scartare.
Nella parabola c'è un uomo che pure aveva ricevuto il talento, ma ha avuto paura del padrone e, perciò, non ha lasciato fruttare il dono. Gesù fa capire qualcosa di fondamentale: all'origine della paura c'è una falsa immagine di Dio. E' l'immagine menzognera presentata dal serpente dall'albero della Genesi. Questi tenta la libertà degli esseri umani, instillando un'idea velenosa di Dio che potremmo definire “antagonista dell'uomo”. Dio, insomma, come concorrente dell'uomo, invidioso della sua autonomia, avaro nel donare ed esigente nel chiedere. E' il Cristo crocifisso (ecco un altro legno) che ha liberato da questa distorsione per narrarci il Dio-per-l'uomo che non esita a consegnarsi in mani umane al fine di non tradire la sua missione di liberazione e salvezza dell'umano.
Dalla liberazione dalla paura (specie dalla paura della morte come substrato di ogni paura) scaturisce un'esistenza semplice, sensata e utile, nella libertà di amare e nella responsabilità di farsi carico degli altri e del mondo, comunicando vita in ogni occasione e situazione.
E allora, ben venga l'invito di Martin Buber (morto nel 1965), filosofo e mistico ebreo, studioso del movimento cassidico (le parole sono tratte da “Variazioni sul Baal Shem”):
“Anima la tua vita di ardore gioioso:
berrai al calice della grazia divina e avrai la chiave del Mistero. (...)
L'ardore e la gioia
ti seguano in ogni tempo, in ogni luogo. (...)
Tutto ti apparirà nuovo:
il cielo di oggi è la terra di ieri, il cielo di oggi sarà la terra di domani. (...)
Nell'ardore gioioso il giorno entra nei tuoi confini,
e non occorre che ti ritragga davanti a lui.
Il passato e l'avvenire si fondono nel presente:
vivrai nell'attimo e l'attimo è l'eternità.
Nella sua luce raccolta,
tutto ciò che fu e sarà è semplice e riunito.
L'ardore e la gioia
ti fanno abbracciare Dio senza tempo né spazio”.
(19 novembre 2023 – 33^ domenica ordinario)
PS - “Ciascuno deve custodire e santificare la propria anima (vita) nel modo e nel luogo a lui propri, senza invidiare il modo e il luogo degli altri” (M. Buber).
Nunzio Marotti
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