LO SBARCO DEGLI ALLEATI ALL’ELBA
Avvenne in due fasi diverse. la prima viene descritta come il momento più sconvolgente di tutta la guerra: quando giunsero le truppe francesi formate in gran parte da soldati marocchini e senegalesi mentre viene ricordato con piacere lo sbarco degli americani.
Del primo sbarco ne parla nonna ANNA ROSANI - Gli Alleati permisero che l’isola fosse vergognosamente umiliata. Sono vicende così tristi che non riesco nemmeno a descriverle.
Cosa che invece fa DINA CANAPINI - Le truppe di colore marocchine e senegalesi furono particolarmente crudeli. Una donna di Portoferraio ebbe il coraggio di offrirsi alla violenza degli invasori per proteggere le altre donne; una ragazza, dopo nove mesi, partorì un bambino di colore e fu adottato da una famiglia elbana. Io fui nascosta con altre quattordici ragazze in una stanza il cui ingresso era stato coperto da un armadio. Uscimmo dal rifugio quando tutto era
finito. Questo sconvolgente momento durò 48 ore, il tempo che gli Alleati diedero a queste truppe per violentare e saccheggiare. Alla fine gli Alleati offrirono
provviste da mangiare agli elbani. Ad un certo punto se ne andarono via perché la guerra continuava nel Nord Italia e loro si fermarono a Tombolo in provincia di
Livorno.
VITTORIO COLOMBINI afferma che la truppa di soldati senegalesi veniva chiamata “Battaglione di Choc“ - Questi avevano dei campanelli appesi al naso e, finite
le famose “ 48 ore”, furono mandati a caccia dei tedeschi, ma molti di loro morirono sui campi minati, pur uccidendo molti nemici.
Quasi da non credere quello che afferma MARISA BURELLI - Questi indigeni, quando ammazzavano un nemico, con le loro orecchie si facevano delle collane. Una volta lì incontrai, ma riuscii a nascondermi in mezzo alle canne e mamma, che era con me, mi faceva il segno di stare zitta.
Ben diversa fu la situazione quando arrivarono, in seguito, gli americani, anche se non erano tutte “rose e fiori“.
ANNA ROSANI aveva, come guida protettrice in quei momenti bui, sua nonna che sembra avesse le idee molto chiare sugli avvenimenti bellici - Lei sosteneva che lo sbarco degli Alleati all’Elba era stato un banco di prova per quello che poi avvenne in Normandia. Secondo lei ne arrivarono più di diecimila e la battaglia con i tedeschi durò per quattro giorni.
All’Elba c’erano undici piroscafi ed una cinquantina fra chiatte, cisterne, motovelieri e tutto fu distrutto. Mia nonna ricordava benissimo i nomi dei piroscafi e ne ripeteva i nomi spesso tanto che anch’io li ho memorizzati: Palmaiola, Polluce Bolzaneto, La Foce ed altri che giravano fra Genova, Piombino e Portoferraio: Giorgia, Nina, Persea, Ape, Airone e Castore.
Quando fu affondato Bolzaneto, morirono anche undici marinai di Rio Marina. Furono solo nove i superstiti compreso il comandante. Le famiglie delle vittime erano straziate dal dolore e tutti gli elbani fecero sentire la loro solidarietà.
DINA CANAPINI sottolinea il fatto che - Al momento dello sbarco degli alleati a Marina di Campo, i pezzi grossi tedeschi se n'erano già andati.
Quelli che si salvarono dagli scontri furono fatti prigionieri e portati in Corsica a lavorare nelle cucine ed alcuni di loro tornarono all’Elba alla fine della guerra.
Molti elbani disoccupati si occuparono poi del pericoloso lavoro di bonificare i terreni dalle bombe inesplose.
Più allegro è il ricordo di MARISA BURELLI - Quando arrivarono gli Americani regalavano cioccolata e barattoli con dentro biscotti e caramelle a noi bimbi ed ai grandi scatolette di zuppa di piselli salatissima, ma anche altro più gradevole e poi, a noi bimbi, ci permisero di andare nuovamente sugli scogli.
Io ero brava a catturare, sotto i sassi, i polpi, ma solitamente tornavo a casa con granchi e favolli. Ci mettevo impegno perchè avevo sempre fame.
Nonno VITTORIO COLOMBINI ha descritto un episodio abbastanza buffo di quando all’Elba c’erano gli americani - Durante la guerra la nostra famiglia lasciò l’abitazione degli Altesi per trasferirsi al Poggio, luogo più sicuro. Ero allora un ragazzo di quindici anni ed avevo i capelli rossi e gli occhi chiari e, in quei tempi, i soldati americani pensavano che, chi aveva queste caratteristiche, non poteva che essere un tedesco. Una mattina mia madre mi mandò a prendere il sale a Marciana Marina. Misi nello zaino i recipienti. Quando stavo facendo ritorno al Poggio, lungo il viale chiamato “Straridone”, incontrai un soldato di colore alto circa due metri, era armato fino ai denti ed io gli passai accanto senza rivolgergli lo sguardo. Feci alcuni passi avanti quando mi sentii chiamare. Mi voltai e vidi che il soldato aveva preso dalla tasca dei suoi pantaloni una stecca di cioccolata tanto lunga che usciva dalla tasca di parecchio e mi fece
cenno di prenderla; anche se con grande fifa addosso, l’afferrai e come un fulmine scappai verso casa.
Una voce “fuori dal coro” riguardo ai tedeschi è quella di NONNA GEMMA che, con un pizzico di vergogna, confessa a sua nipote - Mio nonno, durante la guerra, ha conosciuto un soldato tedesco “buono” con il quale ha fatto amicizia che conservò anche a fine guerra. Si chiamava Hans e, fino a due anni fa, è sempre venuto all’Elba ed anche tu hai potuto conoscerlo. Per me, comunque, è stato difficile convincermi che ci potesse essere un tedesco “buono”.
Si conclude così, con un po’ di leggerezza, questo racconto, sintesi del lavoro svolto da alcuni miei allievi.
Personalmente ciò che mi ha colpito di più è la mancanza assoluta di qualsiasi forma di retorica da parte di questi testimoni e mi pare chiaro il loro messaggio: in guerra non ci sono mai vincitori e vinti, ma solo la morte assurda di tante persone nella maggioranza dei casi inermi.
È un messaggio, secondo me, che resta di attualità di fronte all’allargarsi di un clima di odio che sembra ora impedire qualsiasi spiraglio di ragionevolezza ed umanità. Ho però ancora una chicca da regalarvi per lasciarci con un sorriso.
L’aneddoto che sto per raccontarvi nasce da un altro lavoro di ricerca svolta da una mia classe fra il 1992 e il 1994.
Era una ricerca sulle immagini sacre o icone sparse all’interno del territorio del Comune di Portoferraio che non si trovavano però nelle chiese o altri luoghi sacri bensì sparse fra le strade o accanto a boschi e terreni coltivati. Questo lavoro certosino è riuscito ad individuare ben 38 di queste icone e per tutte si è riusciti a trarne la ragione storica della loro presenza. In molti casi scoprimmo che erano legate proprio alla Seconda Guerra Mondiale. Una in particolare ci colpì per la sua stravaganza.
Questa icona di cui vi parlerò si trova in località Scaglieri a circa cinquecento metri sul sentiero che si trova al bivio per Lacona della provinciale per Procchio. Si tratta di un tabernacolo nascosto nella boscaglia, con un accenno di sentierino per raggiungerlo, a forma di piccola capanna in cemento e non più alta di mezzo metro incastonata in un terreno roccioso. All’interno trovammo una croce di ferro e dei santini della Madonna che, probabilmente, hanno preso il posto di una statuina della Madonna stessa. Chi ne conosceva la presenza aveva dato a questa icona il nome di “Il faro di Musolino“ e, raccontando la storia, si capisce la ragione di questo soprannome. Era stato costruito da Umberto Marinari, ora deceduto, che era soprannominato appunto “Musolino“ a ricordare il famoso brigante dell’Ottocento.
Egli era proprietario di una distilleria che si trovava dove ora c’è la banca di Firenze in piazza Cavour. Nel 1942 la Milizia fascista lo beccò mentre usava illegalmente della saccarina per le bevande che produceva. Il Marinari si rese conto del rischio di essere arrestato e così, di notte, con una barca a remi, decise di fuggire in Corsica. Mise allora, su una sporgenza rocciosa affacciata sul mare dove ora c’è il tabernacolo, una lampada a petrolio per orientarsi durante il viaggio in mare.
In seguito, siamo nel 1944, i parenti lo rassicurarono che all’Elba “le acque si erano calmate“ ed il Marinari decise di tornare. I familiari rimisero la lampada a petrolio sulla stessa sporgenza rocciosa di quando era fuggito per agevolargli il ritorno che si concluse felicemente.
Esattamente il 29 luglio 1944 il Marinari costruì il tabernacolo e, sempre con le sue mani, una croce di ferro che mise al suo interno probabilmente insieme ad
una statuina della Madonna. Il suo gesto non fu solo un ringraziamento alla madre di Gesù per averlo protetto durante le traversate, ma anche per testimoniare che,
da quel momento, avrebbe cambiato vita. In seguito andava sovente al tabernacolo per mettere un lumino.
Nella foto che gli alunni hanno fatto del luogo, era una splendida giornata primaverile, si vede sullo sfondo proprio la Corsica.
E con questo vi lascio sperando di aver attirato il vostro interesse...
Riccardo Osano