Una mia cara amica, che vive ormai da lungo tempo fuori dall'Elba e alla quale ho inviato copia del mio recente libro, "Orme di un viandante nei sentieri del '900", mi ha scritto una lettera che ha la parvenza di una vera e propria recensione, e come tale mi pare degna d'interesse dal punto di vista mediatico e che pertanto allego con preghiera di pubblicazione, ovviamente dopo aver chiesto e ottenuto il placet da parte dell'autrice.
Colgo l'occasione di ricordare a chi non ha avuto la possibilità di partecipare alla presentazione del 14 gennaio scorso, che, su invito dell'Università del Tempo libero, il libro sarà nuovamente presentato a Portoferraio giovedì 22 febbraio nella sala L.Nervi (ex Gattaia) alle ore 16,30, ingresso libero.
Danilo Alessi
LA LETTERA DI ELISABETTA
Caro Danilo,
ho finito adesso di leggere il tuo libro. Bello il titolo e la scelta di piccole storie riunite in sezioni, raccontate in prima persona, sempre con lo sfondo dell’isola, amata e che fa amare, tu dici, e fonte di bellezza. Ma nel libro c’è anche la bellezza degli incontri, della comunità che si adopera per un evento, il coinvolgimento dei giovani e di questo accorrere all’Elba di intellettuali e politici, storie vissute nello scenario dell’isola e a tratti anche al di là del mare.
Chi legge è come se ascoltasse il racconto da te narrato, preso per mano e portato a percorrere le orme lasciate sui sentieri del ventesimo secolo da te e da quanti hanno camminato con te.
Per un’elbana che ha vissuto fuori dell’Elba come me, è pura emozione ritrovare le persone, i luoghi, conoscere fatti a cui non è stata presente, vivere le attese e i problemi della storia dell’Elba che si è intrecciata con il tuo impegno e con quella più vasta dell’Italia e del mondo.
O, attraverso le storie da te narrate, ricordare eventi e emozioni vissute altrove come la partenza da Padova del feretro di Berlinguer con Prato della Valle gremito di una folla piangente che batteva le mani.
O la storia della tua partenza da Lero, bambino con tutta la tua famiglia prima del disastro incombente. in aereo, per fortuna, e non in quella nave che poi fu affondata. Mi hai ricordato la storia di una mia cara amica di Padova, Paola Fioretto, docente al Liceo scientifico, che da molto piccola aveva perso il padre a Cefalonia, Giovanni Battista Fioretto, comandante delle Divisione Acqui, fucilato dai tedeschi dopo che tutti nostri militari si erano arresi e avevano consegnato le armi. Era per lei doloroso non avere ricordi vissuti col padre.
Come la storia di Adolfa e del Venier da te narrata che non conoscevo.
Così chi legge conosce, partecipa, vive, cammina sulle tue orme, le tracce diventano un sentiero anche per chi vuole o vorrà far sbocciare il fiore di un mondo migliore, quello che tu, con altri, hai seminato.
Ora, purtroppo, tutto tace. E’ come se la storia riposasse. “La grande politica”, come la chiama Cristiana Torti nella sua introduzione al libro, al momento non c’é. Ed bello il titolo che precede le sue parole: “E poi? Memorie politiche e personali di un costruttore di cultura” e la conclusione “Nostalgia? Ma no, solo la coscienza di un periodo d’oro che per adesso non è stato eguagliato né da stanchi gattopardi né da rampanti muniti di fuochi d’artificio. Però c’è stato ed è giusto ricordarlo”.
Sì, perché bisogna dare la possibilità a chi si rialza dal torpore di riprendere il cammino, seguire le tue orme o tracciarne altre, sempre con dentro al cuore la voglia, la passione di costruire, lottare, credere che un altro mondo sia possibile. Con l’andare del viandante, che va piano, osserva, vive l’ambiente che lo accoglie e lo nutre e si relaziona con chi incontra in modo solidale, come hai fatto tu.
Il tuo libro termina con la storia delle miniere. Mio padre ha sempre lavorato in miniera, prima a Rio, poi a Calamita. Mi sono emozionata. La tua poesia finale in cui la terra rossa di Calamita diventa un lembo di tramonto, rifulge e diventa messaggio luminoso del lavoro e anche della bellezza dell’Isola.
Sherko Bekas, da te citato nella storia di Nebez l’Invincibile, il militante curdo del PKK, anche poeta, ucciso dalla repressione turca, declama: “Quando prendi un suo raggio / e con quello scrivi / ti fa visita il sole / e ti regala un libro”. Mi piace immaginare che tu, bambino di dieci anni - come ricordi nell’episodio dell’Esordio, su un palco a Rio, quel Primo Maggio, parole di tuo padre imparate a memoria, con “la passione proletaria e l’invocazione alla pace universale, all’uguaglianza e alla giustizia, al riscatto degli oppressi, alla lotta contro lo sfruttamento padronale, all’unità e alla solidarietà di tutti i lavoratori”- , abbia preso un raggio di sole della tua isola e lo abbia tenuto per farti luce e magari scaldarti nei momenti freddi, e con quello tu abbia scritto il libro che poi mi hai regato.
Grazie, Danilo, confesso che mi hai commosso.
Con rinnovata amicizia e affetto,
Elisabetta Ginanneschi