Lungo il dirupo che dalla strada che conduce a Cavoli degrada verso la scogliera di Colle Palombaia, molti anni or sono, fu creato una specie di palmento (incavo) con inclinazione verso il mare, munito di solide spondine.
Nella suddetta cavità, che nel basso terminava in forma molto ridotta al fine di consentire alle materie che venivano immesse di essere introdotte in una scanalatura terminante a più di due metri d’altezza dal livello del mare, veniva depositato il silicato idrato di alluminio (caolino) che veniva estratto dalla cava della Terra Bianca diligentemente gestito, dall’inizio del secolo scorso e fino all’inizio del 2° conflitto bellico 1940 – 12945, da Piccetti (Angelo Colombi), Gambautte (Giuseppe Retali), Zi’Leone (Giuseppe Galli) ed altri.
I siti da dove veniva estratto il prezioso materiale erano da individuare nelle zone intorno San Piero de Le Caviere, sotto Facciatoia, alla Cote Pinzuta e al Calcinaio.
Il caolino veniva estratto dalle viscere della terra mediante scavo praticato in superficie con attrezzature manuali: bidente, piccone, zappa e pala. Effettuata l’opera di sbancamento si provvedeva a rendere più accessibile ogni luogo dal quale attingere la “caolinite”. Si aggrediva quindi il fianco collinare procedendo con il sistema delle gradinate.
Il numero dei gradini variava a seconda dell’altezza del sito cava, dalla base al suo apice.
La spianata, alias pedata, aveva una profondità utile a quei movimenti consentiti agli addetti all’escavazione.
Mentre il bianco silicato (materiale ottimo per la fabbricazione di piatti, tazze e porcellane) veniva trasportato a spalla con le coffe (recipienti di una certa capienza realizzati con stecche legnose e vimini) sulla piazza denominata “caricatoio”, il materiale di scarto veniva trasportato con vagoncini metallici “a spinta umana”, sino alla discarica.
Una volta che il caricatoio conteneva un certo quantitativo di materiale si ricorreva al noleggio di un veliero che, se bonaccia, si ancorava a breve distanza dagli scogli adiacenti il Ciglio Rosso e da lì immagazzinava nelle proprie stive circa 16 – 18 tonnellate di materiale.
Un ruolo fondamentale sono state le donne, oltre a occuparsi delle faccende domestiche, spesso aiutavano gli uomini nel trasporto del caolino. Le donne svolgevano un ruolo fondamentale nell'economia familiare, contribuendo al sostentamento della famiglia con il loro duro lavoro. Non era raro vedere anche bambini e ragazzi aiutare i genitori nel trasporto del caolino, anche se questo comportava per loro un grande sacrificio in termini di tempo e di fatica.
L’operazione di caricamento assumeva, purtroppo, degli aspetti poco incoraggianti. Ricorrenti erano gli episodi che avvilivano quella povera gente. Durante l’opera di caricamento veniva reclutato un certo numero di quadrupedi da soma, da adibire al trasporto della “terra bianca”, alias caolino, dalle cave alla Canala del Ciglio Rosso. Il materiale veniva stivato in due o tre coffe che, disposte una, sull’arcocchio sinistro, una su quello destro e una terza tra gli arcioni della sella, formavano la soma. Una volta che il cavallo o l’asino giungevano al Ciglio Rosso le coffe venivano dissomate e svuotate sulla quota limite della Canala, mentre il personale addetto provvedeva a far scivolare il materiale (con indescrivibile boato) sino all’imboccatura di un semitubo dal quale, infine, giungeva, scorrendo in basso, nella stiva del natante. Effettuato il carico del caolino il pavicello salpava le ancore e si dirigeva verso un porto del Continente. Molti furono i quadrupedi che, percorrendo il sentiero più accidentato del luogo, precipitarono nella Canala senza che vi fosse per essi possibilità di recupero.
Gian Mario Gentini