Poggiale di Felce («Pughjalu di Felge», in dialetto còrso), metà del Quattrocento. Una casetta di pietra affogata nelle montagne di Corsica; morto il padre, Pietro e Bianchina vivono da soli in quel mondo minuscolo, sopravvivendo solo con castagne ed acqua. Ma quel ragazzino, Pietro, diventerà il primo storico della Corsica, l’antica «Kyrnos» dei Greci, e proprio per questo si ribattezzerà «Petrus Cirnæus».
Nato nel 1447, durante la dominazione di Genova sull’isola, Pietro vuole un gran bene alla sorella Bianchina; ma ad un certo punto si rende conto che castagne ed acqua non possono più bastare. Sarà lo stesso Pietro, diventato «Pietro Cirneo», a scrivere la propria biografia nel IV libro della sua opera principale, scritta – in latino – nel suo ultimo anno di vita (1506) ed intitolata «De rebus corsicis» («Storie della Corsica»).
E scriverà appunto della vita dura in quel paesino di montagna ancora oggi circondato da splendidi castagneti, dove lui e Bianchina sopravvivono a fatica («…et cum parce ac durate vitam ducerent ut pote qui nihil haberent in cibum nisi castaneas et in potum aquam…»); e dopo sette anni chiede alla sorella di poter partirsene, sempre che lei possa vivere solo di castagne («Si ego abirem sufficerent ne castaneæ Bianchine sorori meæ?»). Bianchina risponde di sì. Pietro allora va da Gilardino, del vicino villaggio di Ortale, per pascolare le pecore («…contulit se ad Ghilardinum Hortalem suum propinquum qui misit eum ad oves pascendas…»); ma Gilardino lo destituirà presto dall’incarico. Pietro non demorde. D’inverno si dirige verso nord, alle marine di Capo Corso, dove incontrerà dei marinai che lo condurranno all’Elba («…in Ilvam insulam traiectus fuit…»). Sbarcati sulla spiaggia dell’attuale Rio Marina, Pietro e i marinai si dirigono verso Rio, paese non fortificato («…Arigum oppidum non muratum…») ed ammantato di neve. Pietro è scalzo ed è costretto a camminare con i piedi ghiacciati perché i marinai non possono portarlo in braccio («…non enim per montes præ nivis altitudine humeris eum ferre poternat…»). I marinai sono preoccupati; lo portano così da un calzolaio che immerge i piedi congelati e graffiati di Pietro in una tinozza d’acqua bollente («…traditur cuidam calceolario et cum videretur exhalare animam dolore pedum quos decoriatos a nive vepribusque ac spinis habebat mittitur in aquam calidam…»). Pietro si sente morire e si fa buttare sui piedi dell’acqua fredda («…tunc vero spasmo peribat tandem missus est in aquam frigidam et ita dolorem sedavit…»). A Rio, Pietro si darà poi da fare e troverà un lavoro particolare: dovrà condurre un asino che trasporta il minerale di ferro (ematite) dalle miniere all’imbarco della Piaggia («…imponitur præfectus asino devehenti venam ferri ad littus maris…»).
Dopo quest’altra breve esperienza lavorativa, il giovane Pietro andrà per la prima volta sulla terraferma, a Piombino; là conoscerà un tedesco, Corrado d’Erfurdt, che gli insegnerà a leggere e scrivere («…haud ita multo post transmisit Plumbinum in cuius littore inventus fuit a Conrado Erfordiense germano quem secutus ab eo litteras didicit et artes quibus operando minibus suis posset nutrire se…»). Quella preziosa scrittura che lo accompagnerà per tutta la vita, dalla composizione del «Commentarius de bello ferrariensi» e del «De rebus corsicis».
Silvestre Ferruzzi